Un anno di benevolenza cosmica

L’anno scorso mi auguravo irrequietezza, e direi che questo 2019 l’ha portata in dosi enormi: è stato un anno che ha corso e a cui ho tenuto il passo, un anno di giravolte in cui mi sono tuffata, un anno di passi indietro che mi hanno fatto fare salti avanti.

In tutto c’è stata irrequietezza

Come si fa a mettere insieme il tuo esser consulente dietro le quinte con l’esporre parte della propria vita sui social? Sono circondata da professionisti che dicono: “non si fa”. E per un po’ ho pensato che il mio continuare a farlo fosse simbolo di qualche mancanza: che l’interezza fosse in un continente diverso dal mio, che stavo lì a ritagliare pezzi di parole, cielo, cibo per ricavarne energia.
Poi quando ho fatto Lingua ho portato quei pezzetti fuori, ho spalancato quell’energia, e l’ho fatto per lavoro, e per necessità: dire le cose, dirle agli altri. Io sono questa persona qui, ma non solo: ho fatto proprio bene a continuare a voler essere di più.

Come eravamo

Ogni anno ci si spella un po’: non è solo il sole che abrade la cute.
Ci sono i cambiamenti geografici, logistici, relazionali. Se cambi casa, cambi tram, strada, bus; se cambi tram, incontri nuclei diversi di persone, e così via.
Che lo decidiamo o no, ogni scelta o imposizione scatenano un microcosmo di nuove abitudini: quello che facciamo ogni volta è trovare un pattern e uno schema per rifugiarci da nuovi imprevisti, al punto che molte persone considerano ogni tipo di cambiamento un maledetto contrattempo.

Quest’anno ho fatto un po’ di cose per la prima volta: ho sentito la resistenza, ho insistito, e capito che alla fine la bravura, la lucentezza sono il risultato di una ostinazione a fare che pian piano diventa routine.
Buona parte di riluttanza al cambiamento è fatta di tutti quei nodi con cui ci agganciamo ai luoghi che ogni giorno ci dicono dove stiamo andando, ma solo perché ci siamo già stati: nodi che ci dicono che siamo bravi, perché qualcuno, lì, ce lo ha già detto.

Quando sleghiamo un nodo, e poi un altro, e ci troviamo lì con la corda in mano, la tentazione è quella di sotterrarla e metterci anche noi un po’ di zolle addosso, perché senza quelli che siamo stati, pensiamo di non riuscire a essere altro.
In ogni cambiamento c’è una parte di noi, e sarebbe stupido dimenticarla: ma è una parte.
Il resto è piroette e lucentezza, nodi di chiffon e di garza, chi siamo oggi insieme alla conquista di chi potremmo essere: quindi, slegate i nodi, innaffiate nuove zolle.

L’allieva

Ho studiato molto quest’anno, soprattutto copywriting e scrittura: l’ho fatto leggendo, e frequentando dei corsi. Non si smette di imparare, soprattutto in questo momento storico: se siete anche voi persone tra i 25 e i 45 anni, oggi lavorate in un mercato instabile, democratico, mutevole. E per rimanere appetibili vi aggiornate, vi formate, vi predisponete a nuove opportunità nei vostri settori di riferimento: fate bene.
I mestieri oggi sono costellazioni, e bisogna guardare le cose un po’ da lontano e oltre per arrivare più su.

Il mondo è anche pieno di corsisti seriali: persone che seguono ogni anno tantissimi corsi e convegni, spesso in ambiti simili. Forse continuiamo a imparare anche perché abbiamo in testa un modello in cui se sei riconosciuto nel tuo settore, insegni, vai a convegni, condividi quel che sai. Quasi non esiste la possibilità di essere bravi e silenziosi, essere competenti senza essere docenti. Ed è giusto, è comprensibile voler prendere parte a quel mondo, a quella rete, a quei saperi.

Ma capita anche questo: partecipare a dei convegni in cui dirsi: “Queste cose già le so. Non le saprei insegnare, ma non vorrei nemmeno”.

Credo che smettere di essere un’eterna allieva di qualcuno, o una potenziale docente sia tra le più grandi conquiste dell’intera umanità, soprattutto di questa umanità: significa sfuggire a un modello che esiste, funziona, ma che è anche uno tra i tanti.

Benedizione

È stato un anno di ricchezza anedottica, di incontri sconclusionati, di intimità sfiorate. Un anno intenso di terapia, di appunti, di aperture. È stato un anno in cui ho pianto tantissimo, spesso come sfogo. Questo è stato anche l’anno in cui ho smesso di sentirmi sola, nel senso di: condannata nell’essere sola.

Il giorno prima che uscisse la prima puntata di Lingua, scrivevo

Domani esce la prima puntata di Lingua.
Mentre tornavo a casa stasera, dopo una giornata a Milano, ha cominciato a partire il disco automatico del “sono da sola, se non fossi stata da sola stasera avrei aperto una bottiglia di vino con qualcuno, e aspettato la mezzanotte, invece sono da sola ECCETERA”.
Mi sono fermata e mi sono detta: è perché hai imparato a stare da sola che hai fatto Lingua.

Lingua nasce da chi sono, e devo ringraziare me stessa, la tenacia, l’ostinazione, il coraggio, la mia anima, e tutta la mia vita perché mi hanno portata a essere la persona incuriosita dai podcast, con il talento della scrittura, con tante cose da dire.
Se non avessi imparato a stare da sola non avrei preso i treni per intervistare le persone che ho intervistato, non le avrei conosciute, non si sarebbero aperte.
Sono la persona che sono ed è tantissimo: sono orgogliosa di chi sono, e di cosa ho fatto.
Voglio fermare questo, non la mancanza.
Voglio tenermi la ricchezza, l’ampiezza, il mondo enorme che abito e che condivido.

Quello che facciamo succedere nella vita, insomma, prima o poi dobbiamo affrontarlo: se qualcosa di così bello succede, se intorno a noi abbiamo amore, se abbiamo una casa che ci piace, sarà poi così difficile ammettere che tutto questo esiste per pienezza, e non per mancanza?

Benevolenza cosmica

Questo è un periodo di benevolenza cosmica: è il mio mantra nell’ultimo mese, citando il libro di Fabio Bacà: il lavoro, la vita personale, il futuro che vedo sono pieni di benevolenza.
C’è stato più di un momento durante quest’anno in cui mi sono detta: vai e prendi quel che ti meriti. Quel posto, quel ruolo, quella storia: mi sono ripresa tutto quello che era mio (ciao Genny Savastano, ciao).

Da questa estate parlo spesso con la proprietaria della mia gastronomia preferita del quartiere: anche se non so come si chiama, a un certo punto ha cominciato a raccontarmi pezzi della sua vita. Un marito mancato 5 anni fa, un gettarsi nel lavoro, e poi, da qualche mese, una nuova storia con una persona che lavora nel suo settore: ogni volta che la vedo, ha i capelli sempre più luminosi. Mi rimprovera perché dice che non voglio accettare la felicità, e perché lavoro troppo.

Le vite si fermano, e poi ricominciano molto più spesso di quel che crediamo: il bello è che anche il passato si muove, se hai gli strumenti per far crescere dei fiori dove c’era del letame.

Per il 2020 mi auguro di continuare ad avere fiducia nella benevolenza, che è fiducia nei miei meriti.
Di stare lontano dal coro, e dalle reti.
Di scegliere una strada che risponda a me stessa, e a nessun altro.

Di continuare a moltiplicarmi, perché non significa disperdersi.
Di pensare: il tempo è un universo, davvero devo fare la terrapiattista presso me stessa?

Buone vacanze a tutti, buona moltiplicazione del tempo a tutti.

Cosa mi auguravo gli anni scorsi?

[Photo by Izabelle Acheson on Unsplash]

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