Scrivere per coinvolgere

Come si scrive per leggere ad alta voce? E: cosa raccontare per coinvolgere al punto da far prendere la parola a chi ascolta? La scrittura è relazione: come si fa a creare una connessione intima che più che intima non si può?

In questo post si parla di scrittura, e di voce, e di chiavi: non ho nessuna teoria a cui rifarmi, ma solo l’esperienza pratica di quello che è successo qualche giorno fa, quando mi sono trovata a tenere il mio primo reading e ho visto persone bendate piangere, finché ho pianto anche io.

Una cena al buio alla Holden

Per parlare di questi temi prendo spunto dalla serata di venerdì 24 gennaio al Bartleby Bar della Scuola Holden, organizzata dalla Holden insieme a Storytel: la serata prevedeva una cena al buio per circa 35 persone, con l’invito a mettersi in gioco. Avrebbero cenato bendati, all’interno del locale e indossando delle mascherine fornite da Storytel.
L’evento faceva parte del calendario di Morsel, il format di parole e cibo ideato da Domitilla Pirro e Alessia Siciliano.

Quando mi hanno invitata a partecipare, ho detto di sì, anche perché sono anni che provo a entrare alla Holden in qualità di qualsiasi cosa, ma finora non ho avuto fortuna.

Entrerò dal bar!

Mi sono detta, e ho accettato.

All’inizio doveva essere una lettura di alcuni brani di Lingua, in una serata giocata sul disorientamento sensoriale e sugli equivoci che avrebbero potuto nascere dalla lettura degli ingredienti dei piatti.
Quando mi sono trovata a pensare a cosa volevo che realmente fosse, mi sono data una risposta diversa.

Volevo che le persone uscissero da lì con un’idea diversa del cibo, che è la mia idea, e che è quella che mi accompagna da sempre:

quando parliamo di cibo, parliamo di noi.

E mi sono chiesta: cosa devo usare per far emergere questa idea, o rafforzarla?
La risposta potete immaginarla: userò le storie, mi sono detta.

Lo script della serata passo dopo passo

Qualche settimana fa ho cominciato a scrivere uno script della serata: un’introduzione molto personale, che potete ascoltare dopo, riferimenti a brani di scrittori, e altre storie.
Ho selezionato i brani di Lingua da leggere, abbinandoli alle portate della cena. E ho chiesto ai partecipanti alla cena di portare delle loro, di storie.
Ma andiamo con ordine.

  • L’introduzione

L’obiettivo delle prime battute era quello di creare una atmosfera intima e raccolta: i partecipanti sarebbero arrivati e si sarebbero seduti, con ancora tutti i sensi attivi.
Ci sarebbe stata l’introduzione di Alessia e Domitilla, e poi sarei arrivata io.

Ho scelto di raccontare subito una storia di cibo che aveva un po’ di ramificazioni, alcune felici, altre meno, e di parlare senza farli (ancora) bendare: dovevo espormi perché mi conoscessero e si affidassero, dovevo mettermi in gioco da subito alternando memoria e vissuto, altrimenti non si sarebbero esposti.
Quella introduzione la potete ascoltare qui: è una registrazione davvero casalinga, ma ho pensato fosse più coerente farvela ascoltare, che farvela leggere.

  • Il benvenuto

A questo punto, ci sarebbe stato il silenzio (immaginavo, e così è stato) e: cosa fai nel silenzio? Puoi scendere, o risalire. Devi riempirlo, e portarlo da qualche parte.
Hai aperto una porta, ora devi accostare delle finestre.
Ho scelto di presentarmi, e di spiegare perché eravamo lì: per cambiare idea sul cibo, usando le storie. “Spero anche le vostre”, ho aggiunto, inserendo un primo invito.

  • Il food writing e le ostriche

Ma insomma, siamo alla Holden, fabbrichiamo parole, perché non fare dei riferimenti al food writing?
Quando ho pensato a come lasciare qualcosa di utile insieme alle storie, ho subito pensato ai diversi food writer che ho letto nel corso degli anni, ma la mia perplessità era una: le serate in cui le persone parlano di libri mi annoiano moltissimo.

Quindi ho tenuto insieme i riferimenti letterari e quelli personali, per continuare a tenere alta la tensione emotiva: ho citato M. F. K. Fisher, ho letto un brano di Bourdain sulle ostriche, e da lui sono tornata al mio passato, e a quando ho assaggiato la foglia d’ostrica dalle mani di Philippe Léveillé.

Ho raccontato un episodio in cui mi sono esposta in un altro senso: quello della vergogna, parlando di una notte passata in bagno.
Siamo tutti bravi a spogliarci e dichiararci romantici, feriti, sognanti, ma renderci ridicoli ci aiuta a mettere a proprio agio gli altri, e forse un po’ a rimettere in sesto anche noi.*

  • Di sensi e di sciagure

Dal food writing sono tornata al cibo: ai sensi con cui lo esploriamo, al senso dell’udito, a quello che accade mentre ascoltiamo certi suoni. Ho raccontato la mia storia del cibo, per riaprire al filone narrativo, e ho introdotto Lingua, il mio podcast per Storytel: ho messo subito in luce i temi e messo l’accento sul fatto che fossero più o meno tutte sciagure.
Risate.
Ma, come ho sottolineato:

Ho fatto Lingua anche per dire questo: che tutte le vite sono normali, e prevedono incidenti, sciagure, famiglie infestanti. Eppure: sopravviviamo, andiamo avanti, ed è nostra responsabilità raccontare questa cosa qui: che si va avanti non solo nonostante tutto, ma anche grazie a tutto quello che questi episodi infelici ci hanno fatto diventare.

Come è andata la cena al buio?

A quel punto li ho fatti bendare, sono arrivate le portate, tre, ognuna delle quali ha preso spunto dalle storie di Lingua: per ogni portata, ho raccontato un pezzo di ognuna di quelle storie, e ho chiesto al pubblico di raccontare le loro.
Ed è successo il miracolo.

Si sono alzate diverse mani, e le persone hanno raccontato delle piccole storie, spesso molto tenere, legate ai loro ricordi culinari: la prima colazione romantica, la cheese-cake da strafatti, la bavarese al caffè della mamma, il croccante, la prima cena insieme a Torino, il propoli sulla Via Cassia. E tante altre voci.
Avevamo paura che nessuno volesse parlare, ci siamo ritrovate a singhiozzare senza ritegno, e a ridere, e a volerne ancora.
Non so quante volte ho detto grazie, ma: è stato incredibile.
Ho anche visto l’effetto di Lingua dal vivo. Quello lo tengo per me ma: grazie.

Io, voi, e il cibo tra di noi

All’inizio di questo post chiedevo: come e cosa raccontare per coinvolgere le persone?
Se penso alla serata di venerdì 24 gennaio, mi vengono in mente:

  1. Un narratore onesto e credibile
  2. Un tema universale e facile da comprendere
  3. Dei riferimenti credibili di vissuti e sensazioni, per chi narra e per chi ascolta
  4. Una regia capace di far sentire a proprio agio, con un ingresso spiazzante e il resto più rassicurante
  5. L’uso di una voce riconoscibile inframmezzato da aperture a toni diversi, per accogliere le voci degli altri.

E insomma: anche se non c’è teoria, forse questi cinque punti possono diventarla.
Ah: magari volete leggere questo post sulla scrittura, dice altre cose interessanti.

* Quella sera, per dire, ero sotto Imodium perché quando sono nervosa il mio intestino fa i capricci.

[Photo by Michele Blackwell on Unsplash]

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