Come si organizza un viaggio gastronomico

Il 22 aprile parto per il Giappone, e come per altri miei viaggi, la filosofia, la fame, i desideri non cambiano: io viaggio per cibo.

Ma cosa vuol dire organizzare un viaggio gastronomico? In cosa è diverso un tour basato sui sapori da un giro per musei? Quali sono le fonti che si consultano? Quali le abitudini di viaggio di chi esplora il mondo con uno smartphone e una forchetta, spesso insieme?

Ho deciso di raccontarvi come costruisco i miei viaggi gastronomici, quali guide e siti consulto, come tengo traccia dei miei itinerari, cosa faccio prima, durante e dopo i viaggi. E anche perché viaggio per cibo.

Perché, Chi

Dei posti sento prima gli odori. La madeleine al cocco che ho mangiato a Porto mi ha fatto scoppiare in lacrime. L’aglio orsino sui crostoni di pane di Copenaghen mi permette di ricordare il tavolo, da lì il ristorante, da lì il quartiere, e da lì la città.
Lo stomaco è la rete con cui afferro le abitudini delle persone che in quella città ci vivono, e non è solo questione di feeling: il cibo è memoria e cultura, la memoria e la cultura sono cibo.

Il piatto che mangi parla di territorio – come sono fatte le colline intorno alla città? Dove viene coltivato il grano? Quanto è buona l’acqua qui? -, di ricordi, di resistenza o adeguamento alla modernità.

Non solo il piatto, ma il modo con cui viene consumato ti parlano, se li ascolti: lo street food di Bangkok, il baccalà di Lisbona, gli orrendi panini di Porto, il vitello tonnato nelle trattorie di Torino. Tutti ti dicono qualcosa sul carattere popolare o elitario di una città, su quanto corre, su quanto è lenta.

Io viaggio per cibo perché il cibo è quell’esperienza che, più di tutto, mi permette di conoscere il carattere di una città, e di fissarmelo in memoria: viaggio per cibo perché amo tutto il cibo, e il mio sogno è mangiare il mondo intero.

Le basi di chi viaggia per cibo

  • I miei pasti non sono quasi mai casuali ed è difficile che entri in un posto senza che abbia letto qualcosa prima.
  • Detesto mangiare male, non capisco perché devo sprecare l’occasione di mangiare qualcosa di delizioso in cambio di un pasto anonimo.
  • Scegliere dove mangiare mi permette anche di fissare il budget dei pasti, e scegliere se dedicare qualcosa in più a un’esperienza gastronomica più costosa, o no.
  • Non mi fido di nessun TripAdvisor o di nessuno che non abbia una competenza specifica sul cibo.
  • Giro la città a seconda dei punti gastronomici di interesse, che siano ristoranti o bancarelle di street food.

Probabilmente chi viaggia per cibo è un maniaco del controllo, ma pazienza: di qualcosa dovremmo pur vivere e morire, noi abbiamo scelto di farlo con un panino al prosciutto in mano.

Come organizzo il viaggio

  • Prima di partire, costruisco una mappa online con l’aiuto di My Maps di Google, che chiamo sempre Nome-della-città (food) story: qui salvo caffè, pasticcerie, ristoranti gourmet, etnici, street food, supermarket o food hall imperdibili.
    Divido le categorie per colore e inserisco una breve descrizione in ogni scheda, in modo da ricordarmi di cosa si tratta e perché vale la pena andare fin lì per mangiare. Ecco quella di Tokyo.

  • Per costruire la mappa non consulto mai guide cartacee: non lo faccio né per un’infarinatura del posto dove andrò e tantomeno per guide o ristoranti. Tutto quello che leggo si trova online e in inglese, anche se ci sono saggi e romanzi incredibili che danno un’idea molto più vivida di tante guide.
  • Una volta decisa la meta, comincio una ricerca che da generale diventa sempre più dettagliata, e che dai piatti tipici mi porta a conoscere tutti gli indirizzi più interessanti della città, per i diversi tipi di cucina – o almeno quelle che mi interessano.
    Ad esempio, mi piace provare i piatti di chi ha lavorato nelle cucine dei ristoranti che hanno rivoluzionato la gastronomia di una città o di una nazione: un po’ come qui possono essere gli allievi di Marchesi, oppure ora gli allievi di Bottura, per fare un paragone italiano.
  • Non costruisco itinerari precisi, nel senso che a meno che non debba prenotare ristoranti o musei, decido giorno per giorno il mio itinerario: la sera prima o la mattina consulto la mia mappa, vedo cosa voglio assaggiare, e seleziono il quartiere da visitare. Una pasticceria può costringermi a camminare chilometri per vedere un quartiere che non avrei pensato di visitare.

Le mie fonti

Come dicevo prima, non vale TripAdvisor, ma non sempre: ci sono posti dove è una guida sensata, ma io non lo consulto perché preferisco seguire i consigli dei monomaniaci del cibo.

Le fonti che consulto sono al 99% fonti verticali sul food: non sul turismo, non sui viaggi, ma sui ristoranti.

Una fonte che difficilmente mi ha deluso è Serious Eats o The Guardian, che hanno ottime penne e buoni palati; spunti validi arrivano da Fine Dining Lovers; cerco i bar con i caffè buoni su Sprudge.com, che è un sito tutto dedicato al mondo del caffè. Per chi viaggia per cibo è imperdibile il sito di Mark Wiens, che seguo anche su Instagram con enorme fedeltà: Mark spesso incontra altri personaggi che come lui viaggiano per cibo, e da lì seguire i loro profili è un attimo.

Ci sono poi siti istituzionali apprezzabili come Visitcopenhagen: come fare a capire se fidarsi o meno, lo capisco dalla selezione di indirizzi, che trova riscontro su altri siti verticali sul food. O anche se gli articoli e approfondimenti sono firmati da food writer in gamba.
Chiedo ad amici chef e critici.
Cerco siti verticali scritti da foodblogger, giornalisti o appassionati:  per il Giappone seguirò i consigli di Ramenadventures e di Tokyo Eats, risorse che ho trovato ottime per me che non ho un budget altissimo per i pasti, in questo viaggio.

Instagram è una enorme fonte di informazioni, sia perché tramite hashtag o geotag scopro account di appassionati e nuovi indirizzi, sia perché mi permette di ampliare la ricerca: inserisco il luogo o il nome del ristorante gourmet imperdibile, e vedo chi è stato lì, perché penso che possa avere i miei stessi gusti. Da lì sbricio sui profili Instagram di chi ha scattato una foto in quel ristorante, e trovo nuovi spunti.
Salvo tutto grazie alla funzione “Raccolta” di Instagram, creando una cartella con il nome della città che visito.

Le fonti che scarto

  • Tutti i post di infarinatura generale che mi dicono che in Giappone si mangiano i ramen e che la frutta costa cara: lo so già, mi serve un livello in più
  • I foodblogger che cucinano sempre in casa e cenano fuori due volte all’anno: non sono gli esperti di cui ho bisogno, preferisco leggere le recensioni dei blogger che trattano di ricette come di ristoranti
  • Non valgono i post dei travel / fashion / scarponcinidimontagna blogger che vengono invitati dall’Ente del Turismo o dalla DMO e parlano solo in quell’occasione di cibo: un po’ è difficile che gli Enti creino degli itinerari approfonditi per veri amanti del cibo – sono spesso tour di pochi giorni, un po’ perché è sempre lo stesso post in cinque blog diversi con scarse competenze verticali sul cibo. Ci sono anche molti viaggi stampa organizzati splendidamente.
  • I siti di DMO che non hanno sezioni verticali o curate destinate a chi viaggia per cibo, e quindi a chi ama, distingue, seleziona i locali dove mangiare: si parla tanto di turismo gastronomico, ma è difficile nella realtà concretizzare degli sforzi in questo senso. Prima di tutto, quello di capire a chi si stanno rivolgendo.

Durante il viaggio

Ora, anche se a questo punto sembrerà incredibile, capita anche a me di improvvisare, o di lasciar perdere la mappa.

Succede perché seguo il consiglio di chef e camerieri, o perché un posto mi ispira e ci entro. Tengo un diario, dove annoto i fatti miei ma anche i commenti ai piatti più notevoli.
Salvo i biglietti da visita dei locali che non riesco a visitare per bene e dove vorrei tornare, per integrare la mappa con i luoghi che ho solo sfiorato.

Dopo

Al mio ritorno scrivo un post e sistemo le mappe con recensioni mie, scarto i posti che ho visitato e che non mi sono piaciuti, aggiungo i caffè e i ristoranti che ho scoperto sul posto.
Penso a quello che non ho ancora mangiato, e mi viene voglia di partire di nuovo.

Ma davvero viaggi solo per cibo?

In ogni città che visito, cerco cartolerie e gallerie di illustrazioni, mostre di fotografia, orti botanici. Mi piacciono i musei di arte moderna, i fiumi, i negozi con le riviste che non trovo in Italia.
Ma niente mi fa innamorare del mondo come il cibo, nulla mi incuriosisce di più quando viaggio: è il cibo che mi dà il mio posto nel mondo, è il cibo del mondo che voglio conoscere nel posto dove viene prodotto, trasformato, raccontato.

[Photo by Hardik Pandya on Unsplash]

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Ci sono 4 commenti

  1. “Ma davvero viaggi solo (e sottolineo solo?!) per il cibo?” … abbiamo simili bussole di viaggio, tutto tutto compreso (cartolerie! orti botanici! fotografia! fiumi!)
    Ho una vera storia d’amore con il Giappone che dura da una vita (come il mio amore per il cibo), con assidue, durature e per me basilari frequentazioni, ci sono stata la prima volta solo l’anno scorso e non vedo l’ora di tornare.
    Nella tua mappatura avrai sicuramente segnato Ito-ya, con i suoi sette piani di meraviglia, a Ginza. Poco distante, sul lato opposto della strada, poco prima di Uniqlo, c’è un’antica cartoleria tradizionale giapponese, bellissima.
    Ti auguro uno strepitoso viaggio.

  2. Ciao, ho após a scoperto il tuo blog (fra la Veronica Frison) e mi sono innamorata!
    Sembra che sono stata io che ho scritto questo post. Anche io viaggio per cibo. Anche io faccio ricerche e itinerari sono in base a ciò che voglio mangiare!
    Anche io uso hashtag per ricercare dove mangiare e anche io non mi fido di tripadvisor.
    Insomma, da ora ti accompagnerei sempre.

    Saluti
    Dani Bispo
    a Bolonhesa.com

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