Venerdì 4 maggio sono tornata dal Giappone dopo un viaggio di 11 giorni.
Ho un elenco molto lungo di post da scrivere, ma comincio con questo, in cui rispondo a una domanda comune: come è un viaggio in Giappone?
Vale la pena andare in Giappone, e anche: perché andarci? Cosa mi è rimasto, è durato abbastanza? Cosa vedere in Giappone?
Cosa vedere in Giappone in dieci giorni
Io sono una viaggiatrice lenta, una a cui piace tornare in un quartiere che le ha lasciato qualcosa, che vive il mondo come una casa: mi piace entrare nei posti, allungare il tempo in uno spazio ampliato dai voli e dal fuso, amo fermarmi nei bar, nei parchi. Osservo, prendo appunti.
Quindi: la scelta per il mio primo viaggio in Giappone è stata dedicare 8 giorni a Tokyo e 3 a Kyoto, e ne sono stata felice. Ho amato Tokyo, ho voluto capire Tokyo, voglio tornare a Tokyo.
Credo che l’itinerario per dieci, quindici, venti giorni in Giappone dipenda da che tipo di viaggiatori siete e cosa vi interessa: se amate le città più che la natura, se la cultura urbana vi stimola di più di quella rurale, se volete confrontare la vostra idea di un luogo con le sue radici e le sue contraddizioni, se volete vedere lo sviluppo di un posto per confrontarlo con quel che sarà tra cinque anni, un itinerario come il mio è l’ideale per voi.
Due città, di cui una metropoli.
Arrivare a Tokyo
La prima cosa che ho visto del Giappone è stata l’acqua e le navi da pesca, dall’aereo.
Poi è arrivato un treno che attraversava i palazzi e si piegava lungo dei binari sbilenchi fino a sembrare che stesse cadendo.
Poi un’insegna colorata enorme, e poi altre cento.
Era il futuro di Blade Runner, era Tokyo: una città dove i percorsi di locomozione si dislocano su più livelli, le pubblicità parlano da schermi sonori, androidi prendono vita su dei cartelloni.
Una città dove può capitare di non sentire il rumore degli umani e delle auto: una città di grattacieli e di templi dove battere le mani per invocare gli spiriti.
Poi sono arrivati fili elettrici scoperti: è l’Asia, sono tornata in Asia.
Infine, a ora di pranzo di lunedì 23 aprile, è arrivato il ristorante di Okonomiyaki: l’odore della piastra, il sollievo di levarmi le scarpe. Una ciotola con verdure, carne tritata, una pastella, delle spezie da mescolare e cuocere 5 minuti per lato. Un signore seduto al tavolo di fianco che mi dava istruzioni con le mani, e che ha mangiato tantissimo come un uomo-maiale di Myazaki.
A Tokyo mi sono ritrovata invisibile da un giorno all’altro: ero occidentale, non esistevo. Ero in una metropoli dove le persone hanno un senso molto sviluppato del proprio spazio privato: mi sono fermata imbambolata mille volte a guardare nomi delle fermate, incroci di linee, mappe imperscrutabili, e mai, mai, mai nessuno mi ha sfiorata.
Siate allenati
Di questo viaggio il mio corpo ricorderà il dolore alle caviglie, e all’anca, e la tenacia degli addominali e dei polpacci: non si è mai tirato indietro.
Muoversi per il Giappone richiede un corpo elastico: per spostarsi tra una metro e l’altra, o anche per uscire da alcune linee della metro, ci vogliono spesso lunghe passeggiate.
Per arrivare in cima al Fushimi Inari dovrete camminare 4 chilometri, e salire per centinaia di gradini.
Se tra 20 minuti di camminata e 30 di metro preferite 20 di camminata, accumulerete chilometri senza rendervene conto.
Io ho camminato una media di 14 chilometri al giorno.
Perché andare in Giappone
“Ogni giorno in Giappone è una vita”, l’ho detto tante volte durante questo viaggio.
Sono passata da un quartiere elettrico a un battesimo shintoista, da un quartiere di Gucci e ville a stradine minuscole con bambini urlanti. Ho chiacchierato con una signora giapponese che parlava spagnolo, e sono stata rifiutata da un cameriere con i capelli lunghi e biondi in un ristorante di yakitori.
Ho visto una libreria di legno che sembrava l’impalcatura con cui costruiscono i sogni, ho passeggiato in un parco dove il verde aveva 1000 sfumature. Ho visto una cascata in un tempio, ho salito gli scalini più ripidi mai visti per mangiare dei ramen. Sono salita in cima a una torre, ho visto delle carpe volare, ho parlato con giapponesi, americani, cinesi.
Ogni giorno un’esperienza diversa, ogni ora una vita intera.
Questa possibilità di confrontarti con il diverso e lo sconosciuto esiste in tutti i viaggi, ma qui in Giappone è inebriante: le condizioni in cui questo confronto avviene rendono questo viaggio un’interazione incessante con mille possibilità.
Condizioni in cui la fruizione di ogni luogo, di ogni pasto, di ogni esperienza avviene in condizioni di sicurezza, di efficienza, di perfetta organizzazione.
In Giappone ogni cosa è concessa alla mente e alla fantasia del turista: puoi evadere, senza mai rischiare.
Come un riccio
Quando sono partita, volevo cercare la mia idea del Giappone: Myazaki, la prima Banana Yoshimoto, Cees Noteeboom, Takeshi Kitano, Katsushika Hokusai, Mila e Shiro, Blade Runner, il risucchio quando mangi i ramen, il matcha, i kimono, il washlet, i giardini, la bellezza, le ceramiche, l’esecuzione, le cerimonie.
Sono tornata con più domande che risposte, con tanti punti interrogativi e poche conferme.
Tutto quello che ho visto si è fatto osservare come in pochi posti al mondo, e quello che si è mostrato è stato energia, poesia, vita.
Ho visto il Giappone schiudersi, come un riccio di mare sul suo fondale: pochi posti si fanno osservare e vivere con tanta forza.
Forse ha a che fare col silenzio dei luoghi, forse è l’energia dei posti.
Un viaggio in Giappone ti porta nuove radici, nuove orecchie, nuove percezioni.
E la voglia di tornarci.
Su Instagram
Potete vedere il racconto del mio viaggio su Instagram seguendo l’hashtag #MariclerInGiappone.
Sul mio profilo ho creato un’etichetta Giappone nelle stories in evidenza dove ho archiviato la maggior parte del mio viaggio.
Un bellissimo post. E le tante domande con cui sei tornata mi hanno fatto ricordare le mie, dopo il primo viaggio. Sono tornato per cercare le risposte, ma non le ho mica ancora trovate tutte… credo che tornerai, come me! :)