Questo post è scritto in collaborazione con Bisc_otto: il loro claim è Fatti una domanda. Datti una risposta.
Io quella domanda me la sono fatta, ed è:
Come sarebbe la tua vita se lasciassi decidere di più la pancia?
Quest’anno ho incontrato una persona a cui mi sono affezionata: non era la persona che avrei voluto affianco nella vita, a lungo termine, ma abbiamo passato buoni momenti. Mi ha aiutato a darmi la misura della nostalgia di una quotidianità condivisa, e sì, anche di una stramba routine.
Oggi questa persona non è più nella mia vita: c’è stato un gesto, uno solo, che lo ha espulso dal mio cuore. Non è stato molto drammatico, perché mi affeziono molto lentamente alle persone e ci stavamo frequentando da poco: quello che di significativo c’è da raccontare è il modo in cui ho preso la decisione di non volere più questa persona nella mia vita.
La testa diceva A, lo stomaco diceva B: ho scelto di seguire lo stomaco, dicendomi:
Sto facendo le prove generali della persona che vorrei diventare.
Quella di una persona che sceglie solo e sempre il meglio per sé. Che sa che la pancia ha ragione, e la testa non sempre. E sapete qual è il bello? Che io l’ho sempre fatto.
Le grandi scelte della mia vita
Per fotografare chi sono oggi, devo recuperare le decisioni che ho preso in passato: le svolte geografiche, sentimentali e psicologiche che mi hanno portato qui, a muovermi verso il futuro da una posizione diversa rispetto a quella di dieci e venti anni fa.
Quali sono i grandi avvenimenti della vostra vita? Quelli che hanno esfoliato la strada che stavate percorrendo, e che l’hanno fatta variare? Quali sono stati i cambiamenti significativi che hanno ricollocato la vostra vita in un luogo diverso da dove stava andando?
Io ne ho scelti 5, eccoli
1. Cambiare città (spesso)
Sono andata via di casa a 18 anni. Ho scelto Trieste, ma Trieste non mi ha voluta. Ho ripiegato su Napoli. L’anno successivo ho scelto Forlì, ma nemmeno Forlì mi ha voluta. Insomma: non sono diventata un’interprete, né una traduttrice. Quindi: la narrativa dice che ho scelto Bologna, ma quello che non sapete è che prima ho tentato Perugia, e nemmeno più ricordo perché nemmeno Perugia mi ha voluto. Alla fine, però, Bologna è stata: da lì, c’è stata Milano e poi Torino. Ho cambiato per lavoro, soprattutto. Per darmi nuove possibilità in città che erano più stimolanti in quel momento, o che rispondevano ai bisogni e ai sogni di certi attimi.
2. Mettermi in proprio
Per metà della mia vita ho lavorato da dipendente, finché mi sono licenziata e mi sono messa in proprio. Sipario. Così cominciano tutte le storie “di successo” di chi lavora come libero professionista e vendere metodi e corsi e motivazioni per “avere successo”. Ma io mica volevo il successo: io volevo non vedere più un capo maschilista, non volevo più subire mobbing, non volevo più lavorare in orari dove ero improduttiva. Soprattutto, volevo lavorare ai miei progetti, e volevo avere lo spazio mentale, fisico e l’energia per farlo. Ho sempre pensato di avere tutte le capacità? Ma figuriamoci. Ho tentato, ho studiato, ho chiesto prestiti, ho ricominciato. E ancora oggi mi chiedo: qual è la mia strada?
3. Divorziare
Io del divorzio posso dire solo bene. Anche con le persone che anni fa mi hanno detto “eh beh, ti sentirai un po’ un fallimento a chiudere una relazione”. (Grazie, ma nemmeno un po’). Ne dico bene per come è finita, e cioè con un profondo rapporto di amicizia. Ne dico bene per la gestione, perché non ci siamo mai feriti. Ne dico bene per la scelta di separarsi per fare di me e di lui due persone più felici della coppia infelice che eravamo. Ne dico bene perché divorziare significa rinunciare alla sicurezza di avere qualcuno che ogni sera è lì a casa con te. E questa sicurezza per alcuni vuol dire stabilità personale. Per me uscire da quella casa è stato un forte dolore e una grande opportunità: di uscire allo scoperto da sola, tra le altre cose. E chi ha più smesso.
4. Andare in terapia
Lo dico sempre.
Sarei una persona diversa se due anni fa non avessi scelto di andare in terapia
È grazie alla terapia se oggi riconosco che l’atto stesso di andare, di proseguire, di affidarmi ha coinciso con la capacità di prendermi cura di me: il malessere stava lì, e per anni l’ho covato. Quando ho scelto di affrontarlo, ho voluto darmi la possibilità di stare bene. Ci sono molti momenti in cui, durante le sedute, vorrei fuggire: ma scelgo di restare, perché vedo i frutti. Tipo: ho smesso di lamentarmi per la maggior parte delle cose per cui mi lamentavo. Felice me, felici voi.
5. Viaggiare da sola
Il mio primissimo viaggio da sola è stato a Trieste, eh. Quando ho tentato di entrare alla facoltà di Interpreti e Traduttori ho preso un treno, sono arrivata, e ho fatto la prova. Del viaggio di andata non ricordo nulla. Del ritorno invece sì, perché l’ho fatto in compagnia di altri ragazzi che, come me, in quel periodo di giovinezza erano un po’ l’Anticristo: ma che bello uscire dai propri confini, ho pensato. Del viaggiare da sola mi tengo stretto il bisogno da cui nasce: rimettermi in asse. So che ogni volta che organizzo un viaggio in solitaria avrò quell’effetto lì: ricollegarmi alla parte migliore di me. Quella che sa godersi gli imprevisti, e tuffarsi nelle cose che ancora non conosce. Per poi raccontarle.
Serve sapere tutto per cambiare?
La domanda da cui sono partita all’inizio del post riguardava la pancia, nel momento in cui devi prendere delle decisioni importanti: lasciar andare, o ritentare? Pensare, o accarezzare?
La cosa buffa è che io sono convinta di essere tuttatesta. In parte è vero: cerco di mediare, di non essere impulsiva. Prima di esporre un problema a una persona gli dico” guarda, ho un problema, ci penso e torno da te”. Assorbo gli istinti e li ordino in riflessioni. Accolgo invece di scalciare.
E questo riguarda le relazioni, cioè: il mondo intero.
Quando rileggo quei 5 fatti veramente importanti, però, e forse lo vedete anche voi, la pancia c’è: le decisioni si prendono anche senza business plan, e anche se in nessuna c’è stata una totale avventatezza, è molto vero che senza tumulto, e coraggio, e istinto, sarei rimasta nel paesino, in azienda, sposata, succube di paure, sui binari di una stazione.
Quindi ricataloghiamo: non è mancanza di pancia nelle decisioni, ma un timore generale a dirsi persone diverse da quelle che pensiamo di essere. Può essere disabitudine a esprimere dei sentimenti di malessere. Paura di incattivire. Di ricevere reazioni spropositate.
Tutto, tutto tranne che mancanza di coraggio e di pancia.
Quando ci si osa?
A seconda di come inquadri i tuoi comportamenti, di come leggi il passato, l’effetto è quello di narrare in maniera diversa anche il futuro.
Quello che hai sempre ascoltato, e creduto, è solo uno tra diversi punti di vista: è la differenza tra fare la piega con una vecchia macchina da cucire o con un ago colorato a cui impartisci ordini vocali: c’è quello che conosci, e che ti condiziona, e il tentativo di vedersi sotto una lente diversa, tutta da inventare.
Mica è facile: se riparametri il giudizio nei tuoi confronti, hai di fronte una persona diversa. Hai nuove domande, e risposte che non ti sei mai dato.
Ma quello che conta, appunto, è la domanda: le risposte sono un campo aperto, sono bigliettini che puoi interpretare. È il gioco di essere adulti con la stessa mancanza di limiti di quando sei bambino. È chiedersi: e se?
Ringrazio Bisc_otto per avermi dato l’opportunità di fare queste riflessioni, e di condividerle con voi mangiando degli ottimi biscotti al cioccolato fondente e mandorle. In ogni bigliettino ho trovato una puntina con cui riempire una nuova mappa emotiva: ho giocato, ho mangiato, e soprattutto, ho domandato.