Bollicine di montagna: itinerario alla scoperta del Trentodoc

Nell’ultimo anno, grazie all’influenza della mia amica sommelier Maria, mi sono appassionata di bollicine: ho imparato che si annusano, come i vini. Come si producono, cosa vuol dire millesimato, e il senso profondo del terroir.
Ho smesso anche di dire

Non capisco nulla di vini

grazie a tutti i sommelier e amici che invece di parlarmi in maniera complicata mi hanno fatto bere con grazia e semplicità: ecco il bicchiere, se ti piace, allora bevi.

Da mesi quindi compro bolle, con un minimo di orientamento in più, da bere per occasioni speciali o quando sono felice: nell’ultimo mese ho imparato e visto qualcosa in più, grazie a un viaggio stampa in Trentino. Qualcosa di incredibile da bere, persone da conoscere: ecco cosa vi racconto oggi.

Cosa è il Trentodoc

Qualche settimana fa sono stata invitata dal Consorzio del Trentodoc per conoscere le loro bollicine di montagna: è lo spumante metodo classico ottenuto con le uve del Trentino, che a oggi viene prodotto da 53 case spumantistiche che seguono tutte lo stesso disciplinare.

I vitigni da cui si ottengono le bollicine sono 4: Chardonnay, Pinot nero, Pinot bianco e Pinot meunier. Spoiler: quello con Chardonnay e Pinot nero sono più buoni, IMHO.
Lo Chardonnay conferisce longevità e carica aromatica e il Pinot nero struttura e corpo: quando bevete, contate fino a 10. Se il gusto persiste, continuate a bere.
(Sembra una lettura dei tarocchi più che una degustazione, ma girls just want to have fun).

Il Trentodoc si fa con il metodo classico, che è uno dei metodi per ottenere la spumantizzazione del vino: per prima cosa si ha un vino base, dai vitigni di cui sopra. A questa base, una volta imbottigliato, si aggiungono lieviti e zuccheri, e si mette a fermentare.

In questa seconda fase si ha la rifermentazione in bottiglia: il vino, insieme al liqueur de tirage (gli zuccheri di cui sopra), sviluppa anidride carbonica con cui si ottiene il perlage: ecco la “presa di spuma”, il processo in cui il vino rifermenta sui lieviti per un periodo che cambia a seconda del prodotto finale.

Si parte dai 15 mesi, si arriva ad anni: questa fase è quella che regala acidità, che permette di sviluppare aromi e identità delle bollicine.
In questa fase le bottiglie vengono ruotate in modo che i residui si raccolgano verso il collo della bottiglia: per eliminarli c’è l’ultima fase, quella della sboccatura che si può fare “al volo” o “al ghiaccio”. Una volta tolti i residui, si aggiunge il liqueur d’éxpedition con cui si fa il rabbocco della bottiglia: questa è una ricetta segreta e ogni produttore ha la sua.

Storie di produttori del Trentodoc

In 4 giorni ho incontrato alcuni produttori del Trentodoc: Camilla Lunelli di Cantine Ferrari, Matteo della cantina Moser, la cantina Revì, la cantina Romanese e l’enologo di Cesarini Sforza.
Ho visitato cantine, fatto una gita in barca sul lago, ho sboccato à la volèe in mezzo alle vigne, ho mangiato salame e formaggio con vista Dolomiti.

Ogni produttore è una parte e un custode del territorio, ogni produttore è una storia: se il vino è qualcosa che è ancora “difficile da capire”, è perché a narrarlo non ci sono sempre le voci di chi il vino lo lavora.

Qualche tempo fa avevo proposto a un’azienda di creare un canale Instagram solo video e audio: le voci delle persone, i suoni della terra. Spesso, non serve nient’altro.

Non avrei voluto conoscere in altro modo Giorgio della Cantina Romanese se non con una gita sul lago di Levico dove conserva le sue bollicine: è stato il modo più intenso di capire cosa significa diventare vignaiolo, perché il vino è un mestiere difficile.
Giorgio ha scelto di affinare le bottiglie in fondo al lago, dove c’è una temperatura costante di 6°: ha un risparmio di corrente, ma anche una storia unica.

In alcuni posti, diventare vignaioli è ancora più difficile: in Val di Cembra, dove ho incontrato l’enologo della cantina Cesarini Sforza, ogni ettaro necessita di 800 ore di lavorazione contro i 150 di altri vigneti, perché qui le alture e i dislivelli sono più complessi.
Sempre qui ho bevuto un vino ottenuto da una vendemmia fatta 18 anni fa: era l’11 settembre del 2001, e mentre raccoglievano il vino, è cambiato il mondo.

Come si fa a bere delle bollicine in maniera distratta dopo che hai conosciuto chi le produce? Dopo che conosci queste storie?
Andate nei territori a conoscere, andate nei territori a bere.

Perché è così buono?

Il vino è territorio: qui in Trentino è un luogo di escursioni termiche, vigneti in altitudine, suolo calcareo.
È un luogo di altezze diverse, alcune delle quali sempre maggiori a causa del climate change. Di agricoltura sostenibile, con scelte biologiche e utilizzo del sovescio.
È un territorio che lavora sui lunghi invecchiamenti: se il vino è nato per dare energia, oggi è un mercato di qualità. Di bollicine che hanno anni, anche molti, per ottenere un prodotto diverso dagli altri con profumi frutto dell’evoluzione.

Le bollicine di montagna del Trentodoc sono minerali, sapide, citrine: hanno un’acidità bilanciata, e un perlage fine ed elegante. Sono quelle che mi piacciono, sono il vino di cui non ho paura, sono il piacere che mi concedo quando voglio essere felice.
E sono il ricordo di 4 giorni insieme a un gruppo di gaudenti giornalisti e blogger e di eroici produttori: alla vostra.

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Ci sono 2 commenti

  1. Un racconto bellissimo, non solo sulle bolle del trento DOC ma su come è bello appassionarsi alle storie del vino e alla bontà in un bicchiere senza paura di “non capire”.
    Da pochi anni mi sono avvicinata al mondo del vino, e come hai scritto tu, il vino è difficile perchè spesso la parola non è data a chi lo fa, a chi lo vive, a chi si “sporca le mani”.
    Concludo citandoti : “andate nei territori a conoscere, andate nei territori a bere.”
    Alla tua!

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