Quanto pagare i content creator

Negli ultimi due anni il mio lavoro da content creator è aumentato al punto da diventare la seconda voce di fatturato dopo i corsi e prima delle consulenze: è un lavoro poco prevedibile, come altri lavori da freelance, che si sviluppa in un mercato a volte saturo, altre volte immaturo.

Rispetto a quando ho cominciato – ricordiamo: ho aperto il blog nel 2006 e ho cominciato a essere pagata per i miei contenuti diversi anni fa -, oggi mi muovo con maggiore consapevolezza quando si tratta di quotare il mio lavoro: so quanto tempo impiego, che valore ha, che ritorno potrebbe avere, conosco il mio pubblico, quanto conta ascoltare il cliente, quanto mi costa.
Questa consapevolezza non mi ha resa ricca, ma di sicuro ha rinsaldato quella lungimiranza che da anni mi fa dire più no che sì e ha rafforzato il desiderio di diversificare le mie voci di fatturato: fossi solo content creator, sarebbe molto più difficile.

Dicevamo: mercato saturo o immaturo, e poche e buone vie di mezzo. Ancora oggi diverse persone che lavorano come content creator non sanno valutare il proprio lavoro e tante aziende e agenzie propongono delle quotazioni insensate: al netto di chi manca di professionalità per inesperienza o furbizia, vorrei proporre qui qualche riflessione, un metodo, per rispondere a due domande:

  1. Quanto mi faccio pagare per dei contenuti se lavoro come content creator?
  2. Se sono un’azienda, che budget devo allocare per un content creator / influencer?

Non sarà un post esaustivo ma è il post che mi permette di rispondere con un link a chi vuole pagarmi in creme per pazienti oncologici (true story), e che spero sia di aiuto per i content creator che per una giornata di lavoro chiedono 100 euro (true story pure questa).

Quanto dovreste guadagnare come content creator

Un preventivo fornisce il valore della vostra prestazione, e corrisponde al valore economico che date al vostro lavoro e alla vostra professionalità: il guadagno di quella prestazione genera gli introiti che vi servono per vivere, pagare le spese, coprire i costi, eccetera.
Ho detto cose banali? Uhm, non so.

Pensatela così: avete un’idea chiara di quanto vi costi vivere e lavorare? Delle uscite fisse e variabili che avete? E: che vita vorreste avere, e quanti soldi vi servirebbero per provare a viverla?
Insomma: un preventivo dovrebbe essere figlio di una relazione equilibrata: quante ore abbiamo, che vita vorremmo avere.
Il punto è lì: se non sappiamo che costi abbiamo, e di tutto il resto, come facciamo a calcolare quanto dovremmo guadagnare? Partite da lì: dai conti. E trovate un bravo commercialista.

Che cosa fa il content creator

Facciamo così: saltiamo le premesse su chi è o dovrebbe essere un* content creator / influencer: quanti numeri ha, come diventarlo, come capire se ha follower reali o meno. Google è vostro amico: qui diamo per scontato che lo sappiate, che lo siate magari, e che abbiate rispetto per questo lavoro senza pensare che chi lo fa sia una persona meno affidabile di altre.

In linea di massima il lavoro da content creator si divide in due macroaree:

  1. Chi fa una proposta creativa al brand, con un’idea di format e contenuti che ha ideato lui/lei. In questo caso la content creator costruisce un progetto che sposa obiettivi e valori del brand: un esempio è questa serie di contenuti per Grom dove parlo di libri, e dove creme, gelati e cioccolata accompagnano consigli e recensioni.
  2. Chi invece riceve e segue un brief del brand: qui il content creator produce un contenuto per raccontare valori del brand in linea con una campagna condivisa: un esempio è questo contenuto per Fattorie Osella, dove insieme ad altri creator abbiamo raccontato la filiera corta e gli abbinamenti ideali.

In ogni caso, è un lavoro che si basa su diverse fasi:

  • Se il content creator propone, si parte con un’analisi dei valori del brand e lo sviluppo di una proposta creativa: sì, proprio come una campagna pubblicitaria che vive poi su diversi canali, che possono essere proprietari del brand e/o del creator.
  • Se c’è la ricezione del brief, di norma c’è una parte di call e riunioni per capire bene l’output, i tempi, gli obiettivi e fare una proposta sensata.
  • Segue parte di proposta investimento, contrattazione, burocrazia varia.
  • Una volta avviato il tutto, nel food&beverage dall’idea creativa si passa allo studio per lo sviluppo ricette e contenuti: che ricette dobbiamo fare? Come abbiniamo gli ingredienti? Qui c’è un grande studio: libri, blog, archivi. Si definiscono quindi i passaggi delle ricette e i risultati: se serve, ci si confronta col cliente.
  • Si comincia a lavorare: a seconda dei contenuti che si devono produrre, si pianificano le attività ed eventuali acquisti. Si deve fare la spesa, si devono comprare props o ingredienti. Si capisce dove scattare foto o produrre contenuti: in casa, all’esterno? Si riesce a fare tutto da soli, serve un fotografo? Dobbiamo fare foto in giro: ci serve un’auto? Dobbiamo avvertire i luoghi dove andiamo? Insomma: è quello che per le campagne pubblicitarie è scouting, coordinamento, e pianificazione. Ma qui lo chiamiamo “andiamo a comprare i limoni carini” 🍋🍋🍋
  • Si arriva finalmente alla produzione: si allestisce il set per foto o video, che può comprendere trucco e parrucco nel caso in cui siamo protagonisti degli scatti. E cuciniamo, noi che sviluppiamo ricette: prendiamo gli ingredienti del brand, scattiamo foto dei procedimenti, dei prodotti, del piatto finito. Usiamo cavalletti, luci, macchine fotografiche, e altri strumenti. Poi disallestiamo, laviamo piatti, consumiamo la lavastoviglie.
  • Testi o stories parlate: si scrive, o si registrano i contenuti che andranno pubblicati sui social.
  • Una volta che abbiamo prodotto i contenuti, li postproduciamo: finalizziamo foto e montiamo video, in modo che siano adatti per la pubblicazione social. Prepariamo, se richiesti, i contenuti per approvazione: io uso un file dove inserisco mention, tag, e ci metto foto e video.  Confeziono tutto e mando.
  • Dopo l’approvazione ed eventuali rework dei contenuti, si pubblica, si controlla l’andamento, si inveisce perché Instagram non ha mostrato i contenuti, si stimola l’interazione, si va in sbatti perché le metriche visibili tipo like e commenti sono poche e ci si chiede se il cliente confermerà la collaborazione eccetera.
  • Infine: si scaricano i dati dei contenuti (Insights stories, post sul blog, eccetera) e si inviano al cliente.
  • Last: si fa fattura, si invia all’amministrazione, si pagano le tasse.

Ovviamente sono indicazioni di massima, che cambiano a seconda del progetto: in alcuni casi la collaborazione richiede la partecipazione a un evento, in altri solo stories o solo post, in alcuni casi sono stories parlate senza ricette. Ma ecco: ci vogliono giorni per arrivare dal contatto allo sviluppo contenuti, se si vuole lavorare in maniera professionale.

Content creator: cosa può fare per le aziende

Fin qui abbiamo parlato del lavoro che il content creator fa, ma come dire: al cliente importa il risultato, non il processo.
Quindi rispondiamo alla domanda: cosa ottiene il cliente dal lavoro del content creator? E anche: quanto quel cliente pagherebbe per quei contenuti se dovesse farli da solo? Quanto dovrebbe investire per distribuirli con lo scopo di raggiungere lo stesso numero di persone che raggiunge il creator? E: anche se il numero fosse lo stesso, l’impatto sarebbe identico o cambierebbe qualcosa?
Come dice PiuttostoChe: la risposta è nella domanda. Ma diamo comunque qualche risposta.

Rimanendo sullo sviluppo ricette, ecco un elenco disordinato di quello che il brand può ottenere con i contenuti della creator:

  • Foto e video di qualità
  • Raggiungimento di un pubblico fidelizzato e attivo
  • Sviluppo ricette e abbinamenti che mostrano l’utilizzo del prodotto
  • Recensioni da testimonial
  • Distribuzione contenuto su piattaforme social
  • Brand awareness, SEO, traffico, contatti email, conversione, notorietà.

Quanto costerebbe fare tutto questo da solo? Il brand avrebbe le competenze gastronomiche, fotografiche, di editing, di conoscenza social, e soprattutto avrebbe un pubblico fidelizzato? E in caso non le abbia, quanto costerebbe acquisire e sviluppare competenze e contenuti?

Quando da creator ci troviamo a sviluppare un preventivo, dovremmo prestare attenzione a quello che, col nostro lavoro, aiutiamo l’azienda a ottenere: prima di valutare o svalutare quello che facciamo, chiediamoci quale vantaggio ha l’azienda con i nostri contenuti. Cosa ottiene, e anche quanto gli costerebbe produrre gli stessi contenuti con in più un testimonial.

Quanto si fa pagare un content creator

Questa discussione è nata da una domanda che ho fatto su Instagram

Ciao creator e influencer, vi faccio una domanda: che budget chiedereste per
– Una partecipazione a un evento di circa 3 ore
– 3 set di stories (prima, durante e post
evento)?

Le risposte sono state molto diverse: da 90 euro fino a 1400 euro. Cambiava il pubblico, l’expertise, la professionalità. Io avrei chiesto 950 euro + IVA, e la domanda è: in base a cosa decidere il vostro prezzo o, per un’azienda, capire quanto investire?

Ecco alcuni elementi che possono aiutare a valutare:

  • I conti, quelli di base: da content creator e freelance, quanto dovreste guadagnare dal vostro lavoro? Qual è la vostra tariffa oraria? E da aziende: che investimento vorreste fare nella comunicazione? Quanto vi costerebbe fare da voi quei contenuti e distribuirli? E: che costi avete come content creator come abbonamenti, attrezzature, applicazioni?
  • I clienti con i quali la creator ha lavorato: la creator è un testimonial, e la sua reputazione conta perché sta comunicando l’utilizzo di un prodotto a un pubblico che la ritiene credibile. Quel valore è un capitale: sociale ed economico, e ha un costo. Se io faccio questo lavoro da 15 anni, ho una rete di contatti di appassionati, aziende, agenzie che è diversa dalla persona che fa questo lavoro da 1 anno. Se ho lavorato con clienti importanti, coerenti, interessanti, sono diversa da chi ha lavorato con clienti piccoli, senza scegliere, e poco rilevanti. Cambia la percezione che pubblico e brand hanno di me, e di nuovo: questo ha un costo.
  • La verticalità e l’expertise di settore: se vi affidate a una creator che è parecchio trasversale e volete comunicare degli aspetti tecnici, occhio alla competenza, quindi all’affidabilità con cui trasmette le informazioni sui vostri prodotti. La competenza, ossia l’esperienza di anni, significa anche che il pubblico segue quel creator per il suo know-how, e che in quel settore il creator ha una rete solida di relazioni. È un plus da diversi punti di vista: reputazione, scambi, fiducia. Non è detto che dobbiate scegliere, da azienda, solo content creator super verticali: dipende da quali sono i vostri obiettivi. Ma da creator, se sono anni che lavorate in quel settore, ecco: la vostra esperienza ha un valore.
  • Quali sono i prezzi e i costi medi sul mercato per i contenuti? Lo stabilisce il mercato stesso, al di là dei risultati: alcuni creator chiedono cifre molto diverse a seconda del settore, per cui il beauty ha degli investimenti molto diversi dal food. Per capire quali sono le cifre, è utile quindi confrontarsi con colleghi, da creator, e chiedere preventivi, lato azienda. È un mondo che a qualcuno può sembrare nebuloso: come dicevo a un’azienda, è una “poca trasparenza” che è sensata. Chi lavora bene fa preventivi molto diversi da cliente a cliente e da progetto a progetto: posso decidere di chiedere meno a un’azienda più piccola perché credo in loro, e di più per un’azienda che mi chiede ad esempio delle trasferte. Non esiste un tariffario: esistono i progetti, il valore, la chiarezza di processi e obiettivi.
  • Occhio all’affinità vostra e del vostro pubblico col brand: scelgo di collaborare con poche aziende in cui credo e mostrando prodotti che realmente userei. Per i brand, questo vuol dire conservare una rilevanza in un panorama di contenuti diversificato ma attento, e collaborare con una persona le cui scelte sono ritenute credibili dal proprio pubblico. Per me, vuol dire fare volentieri un lavoro per cui vengo pagata, e mettere sul piatto altri elementi insieme al budget: relazione, reputazione, credibilità.
    Se da azienda dovete scegliere un creator, occhio a come comunica sui suoi canali al di là delle collaborazioni, con quali altri brand lavora, quali valori trasmette: vi ci ritrovate? Perché state scegliendo un testimonial, anche se solo per una storia o un post.
  • Escludete i pagamenti a performance e voi, aziende, non proponeteli: il lavoro di content creator è, o dovrebbe essere, un pezzo di una più ampia e ragionata attività di marketing. Il mio lavoro non dovrebbe essere retribuito in base all’esito di una conversione, perché il mio lavoro arriva prima e ha a che fare con la comunicazione: la conversione, ossia l’acquisto, o un altro obiettivo economico, possono far parte degli accordi ma non devono essere l’unico parametro di pagamento. Mi sembra così ovvio che faccio fatica anche a spiegarlo, ma mettiamola così: se il vostro lavoro è fare video per un’azienda che fa pasta, vi fareste pagare a pasta venduta su un sito su cui i vostri video nemmeno ci sono? I due valori sono davvero equiparabili? E: se quella pasta non piacesse, o l’acquisto sul sito fosse difficoltoso, inciderebbe sui risultati: voi però il lavoro lo avete fatto, no?
  • Ancora sui pagamenti a commissione: all’ennesima azienda che mi proponeva con entusiasmo un pagamento a commissione come se fosse una cosa speciale, ho dato una risposta che, se volete, potete usare anche voi.
Il lavoro a cottimo, dalle mie parti, non è una cosa speciale.

Dovremmo davvero tornare a dare nomi semplici alle cose.

Un po’ di esempi di budget da content creator

Nelle stories ho accennato al fatto che se chiedi 100 euro per 1 giornata di lavoro

  1. Hai poco valore o poca consapevolezza del valore
  2. Pensi che 20.000 euro all’anno, da freelance, siano sufficienti per vivere e mantenersi.

Non so rispondere ai vostri conti, ma ho fatto i miei (e ne ho parlato qui), e vi espongo alcune idee di budget che si rifanno alla mia situazione:

  • Regime ordinario
  • Nessun altro patrimonio
  • Nessun sostegno familiare
  • In affitto
  • Con spese fisse mensili altine
  • Un finanziamento che sto ancora pagando
  • Obiettivo di fatturato di almeno 60k annuali
  • Sul mercato da 15 anni
  • Consapevolezza del mio valore
  • Collaborazioni con aziende di grande spessore
  • 18,500 follower, una community attiva e numerosi progetti nel food (è tutto nel media kit).

Quindi: è poco, è tanto? Fate i vostri conti, rileggete il post, e parliamone.
Qui non trovate le tipologie di aziende per cui questi budget sono ipotizzati, che sposta l’asticella ed è per questo che trovate budget diversi.

  • Per 2 post sul feed + 2 reel sul feed + 4 set di stories in concomitanza con post e reel + 4 set di stories con link: 3.800 euro + IVA
  • Per 6 post sul feed + 12 set di stories: 6.000 euro + IVA
  • Per 1 evento con 1 set di stories: 850 euro + IVA
  • Per 3 post gallery che comprendono 3 ricette + 3 set di stories: 2.250 euro + IVA

Sono prezzi corretti? Non lo so: per qualcuno saranno alti, per altri bassi. Sono spunti, non sono bibbie. Sono mutabili.
Una cosa la aggiungo: se il vostro è un hobby, non chiamatelo lavoro. Se volete mantenervi col vostro lavoro, fate i conti. Se vi potete permettere di non lavorare, non fate finta di lavorare. Se svendete il vostro lavoro, rovinate il vostro valore e il mercato.

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Ci sono 3 commenti

  1. Sempre molto pragmatica e schietta. Post da salvare per riflessioni future perché senza soldi non si canta messa.

  2. Se mi riesce facile quantificare il nostro lavoro con un corso di cucina one to one, ho sempre avuto più difficoltà a quantificare il nostro lavoro/impegno/expertise/professionalità quando si tratta di creazione di contenuti. Leggendo questo post mi sono resa conto che chiediamo sempre troppo poco!

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