Salvare il mondo con le Digital Pr

Qualche giorno fa su Facebook ho pubblicato questo estratto del libro che sto leggendo (Existential Marketing, di Stefano Gnasso e Paolo Iabichino, ed. Hoepli), accompagnando l’immagine con queste parole «Lunedì mattina, due ore di sonno, letture di marketing: se capisco questo passaggio, mi sono guadagnata una settimana in discesa. Si accettano suggerimenti».

Da lì a qualche ora si sono scatenate delle sorprendenti supercazzole, perché la mia gente dell’internet è burlona e ironica (la palma web va a Lorenzo Zonin con «Mi ricordo quando “liminoidi” sotto casa con la mia ragazza»). Io però sono una che quando non capisce, s’ostina. E se non capisce, interpreta. Quando interpreto, rifletto. Quello che segue è quindi un approfondimento neuronale di quel passaggio, che credo verrà utile a tutti coloro che si occupano di Digital Strategy come la sottoscritta.

Cominciamo col dirvi che cosa ho capito di questo paragrafo: nel campo del marketing e della comunicazione finora abbiamo assistito a strategie che mettono in campo esperienze superficiali per i loro consumatori, laddove il consumatore prototipico è una persona alla ricerca di sensazioni ludiche, di entusiasmo, di incantesimi. Di urla collettive, di toooooop, di selfie di gruppo, di uno gnam! che arriva ancora prima dell’assaggio.

Conosciamo in molti questo modo di agire: molti progetti digital si basano su un coinvolgimento che strappa la persona (blogger, cliente, influencer) dal suo flusso di incombenze quotidiane e lo trasporta in una dimensione emotiva dove l’oggetto che sta al centro di questa dimensione catalizza vissuti e desideri che generano meraviglia, nostalgia, entusiasmo. Sensazioni che durano un’ora, una settimana, e poi passano. È questo essere liminoide (cioè: qualcosa che ha un potenziale di trasformazione ma nessuna oggettività di radicarsi) che, secondo l’autore e secondo me, non basta più. E quindi? Come dobbiamo pensare? Cosa possiamo proporre, e a chi?

Gnasso sostiene che il marketing debba restituire esperienze che siano pregne di senso dal punto di vista collettivo: “il prodotto o servizio deve sapere rispondere a una richiesta di senso che orienti e giustifichi l’agire quotidiano, sradicandolo dalla concezione individuale per inserirlo e radicarlo all’interno di un processo sociale che a sua volta sia in grado di consolidare un’identità frammentaria e contraddittoria”.
Bisogna, in parole povere ma in concetti spaventosi, pensare in maniera liminale, ossia creando dei progetti che siano “in grado di trasformare gli uomini e le comunità”.

Questa frase suona davvero come un monito epocale, e comprendo che possa destare malumori in chi, addetto alla comunicazione, si ritrova costretto a prendere in esame un cambiamento che può risultare fuori dalla sua portata: ma come, non solo devo pensare al logo, alla newsletter, al SEO, ai blogger, al corriere che mi deve recapitare il pacco, ma devo pure salvare il mondo? Quello che segue è un elenco personale di passaggi che, applicati ai vostri progetti, li orientano in maniera semplice verso la costruzione di un senso comune e, perché no, di un mondo migliore.

  1. Nella fase preliminare della strategia di comunicazione, quando tocca individuare quali contenuti  vogliamo trasmettere, e con quale tono, prendete ciò che, trasformato in una narrazione, sopperisce a un bisogno di comunità, piccola o grande: se producete pomodori, calamite, o tenete  corsi di yoga, ideate un mondo in cui il consumo o l’utilizzo offrano vantaggi alla rete del vostro consumatore. Una ricetta da personalizzare in due, un omaggio che sorprenda un amico, un pdf da inviare al collega: regalate convivialità, e benessere, in un click.
  2. Ideate dei progetti che permettano alle persone di pensare a e di parlare della loro visione di cambiamento: il vostro cliente produce tazze da tè, servizi di traduzione, biscotti per celiaci? Chiedetegli di raccontare cosa significa disfarsi di un oggetto per fare spazio a uno nuovo, come impiegherà il tempo guadagnato, in che modo preparare uno starter kit per ospitare una persona affetta da celiachia. Fate circolare i racconti di chi ha fatto del proprio cambiamento un salto verso il benessere.
  3. Parlate del vostro lavoro, e dei vostri fallimenti: gli sbagli ci rendono umani, ma non solo. Permettono a chi ci segue di rafforzare un’idea del mondo dove non esiste la vittoria, ma l’impegno, la capacità di imparare dai propri errori, e la trasparenza di raccontare il vostro percorso. Siete imprenditori, marketing manager, digital pr, artigiani: quello che comunicate vi mette nella condizione di rendere umano un brand, che sia una lattina fallata o una newsletter che ha come oggetto «Prova Newsletter n°1». Fate ridere, siate utili, siate di ispirazione per chi si sente imperfetto, per chi ha paura di non riuscire a fare tutto, per chi è umano e cerca un altro umano.

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