Bomboloni da asporto

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Immagino che sia capitato a tutti di non aver voglia di cucinare, di dire: machissenefrega della salute, dei soldi, stasera ordino d’asporto e muoio sul divano.

Ordinando d’asporto si guadagna tempo, non si lavano i piatti, basta fare una telefonata e rispondere al citofono, così come ho fatto io stasera: prima il mysushi, dove con circa 30€ si ordinano maki e nigiri di media qualità, con alcune idiosincrasie non sempre piacevoli (tipo il cetriolo con tutta la buccia), ma che rispetto alla media dei giapponesi qui in zona che praticano l’asporto è altissima.

Ho voluto continuare ordinando il gelato da Grom: ordine minimo 1 chilo, non è possibile pagare col bancomat, in omaggio 3 biscotti di Battifollo, panna a parte. Spesa per tutto questo, 31€.

Il mio cuore è tornato a Napoli, dove ho vissuto per un anno.

Napoli, dove impiegavo una settimana per pagare una bolletta e un attimo perché il mio cuore sobbollisse, dove la mattina respiravo zaffate di pesce fresco e il pomeriggio mangiavo la pizza come merenda, dove camminavo in the sun con i miei occhiali bianchi anni Settanta, la città dove sono andata per l’ultima volta in chiesa e dove ho cominciato a vivere da sola.

Sono ormai dieci anni che vivo fuori casa, lontano dalla regione in cui sono nata, e più passa il tempo meno torno nel mio paese natio: sempre meno tempo libero, sempre più impegni da gestire, vacanze sempre brevi. Così, forse per nostalgia, forse per alcune letture in corso, forse perché man mano che si accorciano le distanze tra l’infanzia e la vecchiaia e si cresce, e il passato si riavvicina a quello che potrebbe essere il futuro, forse perché quello che si è oggi è l’esatta somma tra quella che ero e quello che potrei diventare, penso tantissimo alla Campania: i colori dell’autunno ad Acerno, il rumore del fiume Tusciano sotto il ponte vicino alla centrale elettrica, il sapore della scarola imbottita a Capodanno, gli sbandieratori il giorno di San Michele, le feste di paese quando mangiavamo zucchero filato e il muso del maiale, condito con sale, pepe e limone.

A Napoli io e le mie coinquiline sfruttavamo l’asporto: a qualsiasi ora del giorno e della notte potevamo ordinare pollo arrosto con patate e caldi bomboloni e cornetti alla nutella (non escludo fosse la stessa persona a gestire entrambi gli asporti). Con 10€ avevi cena e dolce, con in più la libertà di ordinarli anche alle 3 di notte, perché, come ogni cosa a Napoli, anche il commercio ha tempi tutti suoi.

Era un asporto molto particolare: capitava che nel pollo trovassimo uno stecchino di plastica e nel bombolone qualche pezzo di vetro, probabilmente di qualche barattolo rotto. Ci ripromettevamo di non chiamare più quei potenziali assassini, ma quando di notte ci veniva voglia di qualcosa di dolce ci ricascavamo e chiamavamo l’asporto cioccolatoso.

In quel desiderio impetuoso che scavalcava il senso di sopravvivenza, nella mancanza assoluta di qualsivoglia packaging invogliante, nella voce scorbutica del cioccolataro c’era una semplicità e un’immediatezza che non ritrovo da tempo, e che ricordo con nostalgia.

E voi, cosa pensate dell’asporto?

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