Ho cominciato eliminando il “secondo me”. Ho creato un cestino tra la S e la E sulla mia tastiera e l’ho spostato lì. Affianco alla C ho accartocciato il “credo che”. Ho fatto poltiglia di “potrebbe”, e usato l’aspirabriciole per “mi sembra” e “per come la vedo io”.
C’è una lingua usata da chi si teme se si vede a capo di una frase, e di una decisione.
È la lingua di chi ha fatto della conciliazione remissiva degli aggettivi e dei verbi un’abitudine che alla lunga equivale al discapito di sé. Nascondendosi dietro le locuzioni, mettendosi tra i trattini e le parentesi, facendosi più piccola del puntino sulla i.
In prima liceo mia sorella fu investita: stavamo attraversando la strada per raggiungere i nostri amici dal lato opposto quando una macchina la prese in pieno, facendole fare un salto di qualche metro. Non si fece nulla, fu solo un grande spavento: un attimo prima stava camminando davanti a me, un attimo dopo stava volando davanti. Ebbi paura, tanta.
Quel giorno avevo un tema di italiano: non ricordo l’argomento, ma so che scrissi una pagina intera raccontando cosa era successo e come mi sentivo, all’interno del tema. Era uno sfogo necessario, a cui la mia professoressa di allora reagì valutandolo come un “fuori tema”. Il resto dello scritto era ottimo, e io pensai: brutta idiota, ho 14 anni, mia sorella è volata davanti a me e tu mi scrivi “fuori tema”?
Con la maturità emotiva di allora, che ogni tanto somiglia a quella di adesso, in un esercizio in classe con quella stessa professoressa usai una trentina di pagine disegnando enormi lettere: per ogni pagina disegnai una lettera, a formare le frasi del compito assegnato, con l’intenzione di dare una difficoltà di lettura e di far passare il messaggio vedi cosa succede a darmi del “fuori tema”.
In quelle A enormi c’era tutto: la sfida, la memoria, la relazione, la pressione della mano, la volitività della scrittura.
Perché e quando ho cominciato a rimpicciolire le lettere? Ad agglomerare le parole per farci stare tutto senza disturbare? A dire “secondo me” a ogni inizio frase?
Usare il linguaggio con determinatezza ti rende una persona differente
È un esercizio di pazienza e appartenenza linguistica che ha effetti su come ti poni nel mondo, e nello spazio tra le parole.
Quando ti posizioni in una frase, quando ti determini come soggetto, quando usi la lingua di chi decide, è in quel momento che affermi il controllo, e insieme la tua capacità di prenderlo.
È quando smetti di andare daccapo che fai pace col tuo essere eversiva.