Pavé è un nuovo locale che aprirà a Milano, in zona di Porta Venezia, a breve: per ora è una voce su Twitter che racconta i lavori in corso, creando attesa per un posto che si preannuncia piacevole e buono. Noi li abbiamo conosciuti proprio su Twitter, e abbiamo pensato di fargli un paio di domande anche per soddisfare la curiosità di chi come noi aspetta l’apertura di Pavè.
Pavé sono tre ragazzi, che fino a ieri facevano altro.
Giovanni, pasticcere, 28 anni. Diego, rappresentante commerciale di una start-up, 28 anni. Luca, giornalista e copywriter, 29 anni.
Giovanni, Diego e Luca:come vi siete conosciuti?
Siamo amici di lunga data. Diego e Giovanni hanno frequentato assieme l’istituto alberghiero e conosciuto Luca successivamente tramite un amico comune. Viaggi assieme, cene, chiacchiere. Fino all’idea di Pavè, un concetto in cui catalizzare esperienze, competenze, energie e sogni differenti.
Raccontateci il vostro percorso gastronomico e imprenditoriale.
Giovanni: la mia prima fondamentale esperienza culinaria è stata quella vissuta con Aimo e Nadia, dove ho compreso il ruolo centrale delle materie prime e sviscerato il concetto di “gusto”. Ho sviluppato le moderne tecniche di cottura alla corte di Paola Budel presso il Principe di Savoia a Milano, per poi avvicinarmi al mondo del dolce durante la mia collaborazione con Christian Magri. Un amore esploso definitivamente presso la Pasticceria Besuschio, ad Abbiategrasso. È lì che mi sono specializzato nelle tecniche di lavorazione del cioccolato e nella produzione di torte e pasticceria moderna. Un breve ritorno alla ristorazione con la riapertura dello storico Savini e poi l’esperienza a San Francisco in qualità di chef pasticcere presso Emporio Rulli. Ultima esperienza milanese presso La Brioschina, occasione per sfogare creatività e affinare le tecniche di panificazione.
Diego: mi sono diplomato all’istituto alberghiero nel 2002 e dopo una prima parentesi di lavoro nell’area ristorativa mi sono spostato per due anni e mezzo nel ramo della gastronomia legata alla grande distribuzione: una scelta dettata dall’interesse nei confronti sia delle forniture che degli aspetti gestionali. Sono poi passato a un contatto più diretto con i clienti in tutt’altro campo, ritagliandomi comunque del tempo per sfogare la mia passione nei confronti della ristorazione. Uno sfogo a cui è sempre stato difficile rinunciare.
Luca: mi sono laureato in Scienze della Comunicazione alla Cattolica di Milano. Ho avuto la fortuna di vivere due parentesi lavorative a Melbourne presso la redazione di una radio multilingue per le comunità emigrate in Australia: lì è nato l’amore nei confronti delle bakery, delle colazioni abbondanti e dei locali intesi come luoghi in cui si può e si deve produrre cultura. Il resto della mia professione si compone di copywriting, ufficio stampa e musica: un mix rigorosamente in salsa precaria.
Ora Pavé: cosa è e che concetto si porta dietro? Quale sarà la formula, il luogo, gli orari?
Il bisogno di cose buone, la semplicità e la condivisione di spazio. Ecco una sintesi estrema del nostro laboratorio artigianale di pasticceria, caffetteria, luogo in cui coccolarsi ed essere coccolati tra musica, dolci e parole. Tre i momenti chiave della giornata: la colazione, con i nostri lievitati; il pranzo, con panini imbottiti di salumi e formaggi scelti; infine l’accompagnamento alla sera che inizierà con la sfornatura del pane nel tardo pomeriggio. Costante nell’arco di tutta la giornata sarà la proposta di torte, con grande attenzione alle monoporzione, dolce di una cerimonia del tutto particolare, in cui ognuno celebra se stesso rinnovando il proprio amore verso il cibo. Quanto al resto, non mancheranno dibattiti, presentazioni di libri e mostre con cui accompagnare la degustazione. Tutto ciò imporrà un’apertura nelle prime ore della mattinata e una chiusura in un abbondantissimo dopo cena.
Cosa manca a Milano che c’è bisogno di Pavé? Cosa c’è all’estero che a Milano non c’è?
Premessa: noi crediamo nel potenziale infinito della città che amiamo. Girando tra bakery, boulangerie e cafè all’estero, abbiamo però notato un’attenzione al gusto e alla cura dello spazio di degustazione che qui facciamo fatica a trovare. Il ritmo frenetico di Milano non aiuta a prendersi del tempo. Questo alla lunga è un problema che distrae le persone dal ritagliarsi dei momenti, dal volersi bene. Le lancette dell’orologio, a Pavé, dovranno scorrere più lentamente. Dieci minuti devono valere un’ora. Ce lo stiamo ripetendo da mesi. Le cose buone sono quelle che fanno stare bene: un divano, un croissant caldo, il profumo di cioccolato, una canzone educata. Il gusto passa da tutto questo.
C’è grossa crisi, i ristoratori attraversano momenti difficili e voi scommettete sulla ristorazione: pazzi o coraggiosi?
Siamo tre ragazzi vicini ai trent’anni: questo significa che siamo lavorativamente nati in piena crisi. E, paradossalmente, il periodo di crisi per noi è la normalità più assoluta. È come se la nostra generazione avesse però imparato a respirare sott’acqua. Ingiustamente, certo. Ma lo ha fatto. Nel bene o nel male ci siamo evoluti, convivendo con una certa idea di rischio, una certa concezione di prospettiva lavorativa. In questo quadro, la scelta di cambiare o di buttarsi è per noi molto più naturale rispetto a quella dei nostri genitori, per esempio. La vera domanda che ci siamo posti è stata: fa più paura la ricerca della felicità o quello che abbiamo fatto in questi ultimi anni? La risposta ci ha portato qui. E francamente ci sentiamo vivi come non capitava da mesi.
Avete attuato una strategia di comunicazione molto accattivante: dal profilo di twitter fino ai video su Youtube: ce ne parlate?
Il fatto che passi una strategia di comunicazione è qualcosa di molto gratificante: per noi, infatti, si tratta semplicemente di un’esigenza di condividere il sogno e raccontare una storia. Raccontarla attraverso persone prima che attraverso professionalità è la base per la creazione di un rapporto trasparente, genuino e sincero con chi ci verrà a trovare. Il problema è sempre quello: se la rete è già di per sè qualcosa di virtuale, come posso renderla più “umana” e probabilmente più interessante agli occhi di chi vi naviga? Con il mio volto, la mia voce, perfino con le mie paure ed i miei dubbi.
Ecco che così Twitter diventa un diario di avvicinamento all’apertura con tutto quello che ne comporta: code agli sportelli, burocrazia, piastrelle sbagliate e fornitori grotteschi. Sono problemi della vita di tutti i giorni e non bisogna avere timore di manifestarli nella rete, dove spesso sembra che sia un peccato essere imperfetti: invece si tratta della cosa più umana del mondo. Quanto ai video che stiamo postando su Youtube, in attesa di stimolare il gusto, alleniamo vista e udito, mostrando la realtà, facendo ascoltare le canzoni che programmeremo a Pavè, raccontando la normalità. In conclusione: nella rete noi non siamo “noi”, siamo chiunque abbia voglia di fare come noi.
Un consiglio gastronomico per i nostri lettori?
Giovanni: Qualora doveste passare a San Francisco il mio consiglio è Tartine Bakery, molto più di una bakery. Un luogo in cui si respira un’atmosfera magica, in cui la felicità di chi vi lavora diventa immediatamente contagiosa. I prodotti sono frutto di una passione vera per tutti i meccanismi di produzione. Da provare assolutamente il pane ed il croissant farcito.
Diego: Sauris&Borc da Bria, la cucina friulana a Milano. Ambiente caldo e accogliente. Pareti con mattoni a vista e arredamento affidato ad attrezzi della tradizione contadina. Affettati, formaggi e zuppe buonissime. Il bello di un posto così a Milano? Non sentirsi a Milano ma in Friuli, senza bisogno di prendere l’auto.
Luca: Inizia a fare caldo, arriva puntuale il gelato. Dico Gelato Giusto , il gelato più buono a Milano. Sono affascinato dal desiderio continuo di sperimentazione che si riflette nella proposta e non posso che complimentarmi per l’attenzione maniacale alla qualità. Con un semplice cono qui accade qualcosa di raro: si insegna il gusto, si educa al gusto.