La vulnerabilità del freelance

Come si gestisce il dolore, le malattie – proprie e degli altri -, i disagi fisici e psicologici, il burn out quando sei libero professionista?

Per come la vedo io ci sono due strade:

  1. Prendere le distanze dalla manifestazione del dolore, e mettere il tuo corpo a lavoro: per rispettare le scadenze, per fare qualcosa che ti distrae, per pensare a quello che ti piace, o che è utile per gli altri.
  2. Metterlo via in un modo che a lungo termine è un po’ più deleterio: succede con quelle cose che spostare sotto la poltrona è più complicato. Con i dolori più ingestibili.

Da marzo la mia gatta, Ciccia, ha cominciato a scomparire: lei che è sempre stata morbida, ha iniziato ad assottigliarsi. La coda è diventata un cavetto spelacchiato, lo spazio che occupa sempre più piccolo.
Una infezione ai reni: si è manifestata con del vomito liquido per poi proseguire con meno appetito, equilibrio instabile, miagolii di dolore.

Da qualche giorno ha smesso di mangiare: non si fa prendere in braccio, si nasconde, barcolla. Sta morendo e non c’è molto che possa fare.
In questi mesi le ho fatto una flebo a giorni alterni, mezza compressa di Fortekor tutti i giorni, e il potassio, disciolto in acqua e dato da ciucciare con la siringa. In questi ultimi giorni la sto trattando con Cerenia, da 16 mg: 1/4 di pasticca al giorno per diminuire la nausea.

Questa gatta, che è con me da 12 anni, presa in un gattile di Milano dove era lo scartino più scartino di tutti, che ha cambiato tre case, e vissuto tutte le mie vite, mi ha messo di fronte alla domanda:

Mariachiara, come lo gestisci tu il dolore?

Ne sono nati un po’ di pensieri che hanno a che fare con la mia storia personale, ma anche con il mio essere libera professionista: ne scrivo perché scrivere è il modo che ho di aggiustare le cose, e di dargli un ordine, e anche perché credo che sia un tema ricorrente di chi lavora per sé e con sé. Per chi, quindi, non ha l’opzione di scomparire.

Parlare o non parlare del dolore?

Portarlo online è una scelta paradossale per chi come me fa fatica a fare il primo passo per dire: non sto tanto bene.
C’è stato un periodo qui sul blog, dopo il mio divorzio, dove ho esternato (troppo de) il mio malessere, scrivendo post come questo.

È una delle cose di cui mi pento: aver raccontato i passaggi del mio percorso senza pensare che avere a che fare con una persona che si professava infelice avrebbe potuto spaventare o allontanare i miei clienti.

Nessuno di loro quell’anno ha saputo nulla di concreto sul fatto che mi stessi separando: lo hanno scoperto quando ho lanciato il nuovo blog con questo post.
Nel frattempo mi ero spostata su Medium a scrivere, perché avevo bisogno di scrivere, di parlare, di condividere: ne sono usciti fuori pezzi molto belli come questo sulla dispensa di chi finisce l’amore.

Dal dolore del divorzio sono più che guarita, come da tutto nella mia vita: grazie a dio, col tempo ho pure imparato a mettere le cose in prospettiva, anche quando ci sono dentro.

All’inizio di questo anno ho preso una decisione: basta fatti miei online, e ho selezionato una serie di argomenti di cui non avrei mai parlato, ma soprattutto: ho deciso di mostrarmi più positiva di quel che in certi momenti temevo di non riuscire a essere.

Voglio che i clienti vedano la tenacia, l’integrità, la motivazione: nulla di buio, mi sono detta, solo luce.

Ora, non so quanto questo abbia influito, ma che vi devo dire: sono sinceramente positiva. L’anno prossimo racconterò di un po’ di cose che sono accadute, e che ho affrontato con uno spirito di cui non mi credevo capace.
Santa terapeuta, santa me che sono cresciuta.

Quindi: la scelta è stata quella di mantenere la mia sfera professionale integra, ma non ho considerato le stories su Instagram. Lì c’è una me molto più diretta, e ci sono dei clienti che mi seguono.

È successo quindi che alcuni clienti abbiano saputo della mia gatta, minando quella integrità che volevo mantenere, quella separazione ostinata: è successo che ho trovato solo clienti a cui ho voluto più bene, perché la malattia della mia gatta è diventato un argomento di confronto che ha messo sul piatto il loro vissuto con gli animali.
E: chi sei con gli animali dice un po’ chi sei tu nel mondo.

Morire il venerdì

In questi giorni sono sollevata perché con un gatto non hai paura della confessione: le “cose che ti sto dicendo ora perché non te le ho dette mai”, o “le cose che non ti ho mai detto prima e che visto che stai morendo ti confesso ora”.
Non capisce, anche se le dico che le voglio bene.

Sarei più sollevata se morisse ora, un po’ perché sta soffrendo, e un po’ perché vorrei morisse il venerdì.
In questo modo avrei il fine settimana per smaltire, mi dico, perché se morisse il mercoledì prima dell’incontro col nuovo cliente non dovrò far finta che non sia successo nulla. Faccio questi calcoli.
Non vorrei ottundere il dolore, come è mia abitudine. Vorrei rimanere efficace, funzionante.

Un caso del genere – una malattia di un tuo caro, generalizzando – ti permette di comprendere due cose:

  1. Come bilanci la sofferenza del momento rispetto al resto che scorre: la trattieni, la eietti, o la condisci? Ci metti altro carico perché quello che fa male faccia ancora più male? La getti sugli altri per trovare conforto?
  2. Come la addomestichi per garantire che il lavoro vada avanti: ti distrai aprendo Excel? Ti concentri con una campagna su MailChimp?

Queste domande consentono di crescere nel tuo equilibrio – non solo quello vita/lavoro: riesci a capire quando, se e in che misura sei una persona che si permette il dolore.
Quali scorte hai, quante resistenze hai.

Sono giorni che mi dico: fammi stare male quando posso permettermi che questo succeda. E per me non è solo “lontano dal mio lavoro”, ma anche “quando sono sola”. Ché sono più abituata a essere quella che sta bene, o che sorregge, sempre.

Mostrare la vulnerabilità

Tre anni fa fui operata per rimuovere la coliciste, e prima dell’operazione, durante l’anno, sono finita in Pronto Soccorso circa sei volte: una mattina, mentre ero in sala d’attesa aspettando di essere chiamata, risposi a una telefonata di lavoro. Era un periodo in cui gestivo ancora diversi eventi, e sugli eventi hai delle scadenze pressanti: non puoi scomparire.

Due anni fa fui operata per rimuovere un fibroma all’utero: era l’anno in cui lavoravo per la Regione Lombardia, ero assunta, e feci due settimane di malattia. Fu rigenerante, era quello di cui avevo bisogno.

Quindi: si può lavorare di meno, o scomparire quando si è liberi professionisti?

Non ho una risposta: la me adulta dice che il dolore va gestito in maniera adulta, e questo comporta che qualsiasi cosa succeda, dopo succederà qualcosa di diverso. Una guarigione, un incontro, un altro gatto.

In genere credo che si possano fare tre cose in queste situazioni.

  1. Non tirare troppo la corda: se si ha la febbre, è giusto fermarsi. Se sta male qualcuno, o il proprio animale, è giusto rallentare. Lo devi al tuo corpo. È un’abitudine che migliora la capacità di resistere ai colpi, a lungo andare. Rimettersi a quello che provi, dare la possibilità al malessere di fare il suo corso.
    Nel lavoro vuol dire rispettare le scadenze, organizzarsi per rimanere buoni consulenti, ma anche essere consapevoli che il lavoro che facciamo non salva vite umane – sempre che non facciamo quel lavoro lì, certo.
    E prendersi una pausa: io ho deciso di scrivere questo post.
  2. Raccontare quel che succede: se abbiamo la febbre alta, se un nostro caro sta male, se non stiamo bene, forse portare fuori un po’ di questo processo di manifestazione del dolore, della malattia, non mina la nostra reputazione. Quello che gli altri credono di noi, quello che gli altri, clienti compresi, si aspettano da noi.
    Bisogna farlo con misura, certo, ma mostrarci più elastici con la gestione dei nostri sentimenti non può che fare bene a noi e alle relazioni che abbiamo.
  3. Prendersi cura di sé, quando la marea si è abbassata. Regalarsi del tempo, per riprendere le forze. Attraversare giorni, o mesi con una malattia, stare accanto a qualcuno che sta male si traduce in poca energia: dormi male, sei sempre all’erta, hai lo stomaco chiuso. Alla lunga ti indebolisci anche tu: dopo, regalati qualcosa di bello.

Questa gatta, quante cose mi ha insegnato.

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Ci sono 2 commenti

  1. Ti leggo da un po’ ma non ho mai interagito con te Maria Chiara. Mio marito è libero professionista e so di cosa parli: anche lui si è trovato a fronteggiare dei dolori che, per nostra decisione di coppia per non raccontare gli affari nostri, non poteva permettersi di esternare. Si è trovato ad andare ad appuntamenti coi clienti in giornate in cui avrebbe solo voluto stare a casa con me a sfondarsi di patatine e, magari, piangere.
    Credo che a volte faccia bene forzarsi, per non affossare troppo noi stessi nei momenti negativi, e anche io che sono dipendente l‘ho messo in pratica.
    Ma son d’accordo con te sul rallentare…
    Ho due gatti e vorrei abbracciarti forte. :-)
    Ciao,
    Lidia

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