La MerDaviglia

Ieri sera ero al telefono con Federica, una mia cara amica di Modena: abbiamo parlato del suo viaggio in India, del lavoro, di gambe che stanno per essere sistemate, di uomini.
Tra una chiacchiera e l’altra, ho esclamato:

Ah, che merDaviglia!

E abbiamo riso di questo neologismo non voluto, che riassumeva il disastro e la sorpresa della vita.

Ma sapete cosa c’è: la merDaviglia esiste davvero.

Una questione femminile

Di alcune interpretazioni della vita ne faccio una questione di genere: mi capita sempre più spesso di dire NOI donne e LORO, gli uomini. Allo stesso tempo rifuggo le dee, la letteratura rosa, i gruppi solo femminili.

Esiste però una lotta acuta per chi è una donna contemporanea, a metà tra il femminismo che non ha avuto e quello che sta imparando a maneggiare, senza una relazione fissa e con un presente di incontri che sanno più di catrame che di arancia, con un passato di cento volte che l’hanno presa per segretaria e un oggi fatto di scelte decisive per il fatturato altrui: è la lotta tra chi si è davvero, e il modo in cui ci si giudica.

È il confronto tra chi vorresti essere e i meriti che hai ma non ti dai: è una questione più femminile, mi sento di dire. Forse perché ho intimità con più donne che uomini, ed è una parte di mondo che conosco di più. Forse, poi, gli uomini che conosco a fondo non vivono con questa costante sensazione di dubbio rispetto a se stessi: fanno, sbagliano, non capiscono, ma fanno comunque.

Sarà l’incoscienza, cosa dite?, sarà il raffronto culturale meno dibattuto rispetto al mondo femminile, sarà uno specchio migliore nel quale si riflettono.
Però, ecco, se devo applicare la merDaviglia a qualcuno, quel qualcuno sono le donne.

I figli che vorrei

Ho 39 anni, e non sto qui di nuovo a fare l’elenco della mia vita, anche se sarebbe la cosa corretta da ribadire: vorrei continuare a viaggiare, lavorare con gusto, guardare un film sul divano abbracciati, cucinare insieme a qualcuno, mangiare e bere fuori dopo una giornata di contatto con sconosciuti, farsi regali basati sulla conoscenza e sulla sorpresa.

Non cerco un’idea astratta di relazione ma un riconoscersi con pazienza, con la carne e con la parola e con la pancia, e godersi il tempo che abbiamo. Non sprecarlo perché forse c’è qualcosa di meglio: provarsi, scommettersi, sgocciolarsi, ridersi, e suvvia, tutto questo è leggerezza, non priviamocene.

Vorrei un figlio, per proteggerlo e raccontargli che la vita è scoprire ogni giorno che c’è qualcosa di diverso, e non temere quella diversità, ma farla propria, per crescere, assimilarsi, migliorarsi, farsi amare.

Questo desiderio, è anche maschile? Non lo so, davvero, mi piacerebbe saperlo, mi piacerebbe che i sentimenti fossero raccontati come una pasta aglio e olio, come un condimento quotidiano che sazia, stuzzica, compromette, se necessario.

I figli che vorrei mi rendono la madre che non sono: è il giudizio che mi porto dentro, che mette il desiderio in quel punto del corpo in cui i bambini altrui punzecchiano il punto dove la tua vita si è interrotta rispetto a quella degli altri, che indicano l’incompiutezza del tuo percorso.
A 39 anni si ha una famiglia, un figlio, e allora cosa hai di sbagliato se non ce l’hai ancora: o ancora, hai 1 solo figlio e nessun marito, hai 2 figli e quella ne ha 3, e sulla bilancia mettiamo l’utero e la rispettabilità sociale e ci sembra normale allinearli.

Sei molto lucida

A lungo ho pensato di essere irrecuperabile: dopo due anni di terapia comincio a essere clemente nei miei confronti, ad accettare l’imprevisto. Mi lascio alle spalle un passato di mostri, di incidenti, di disamore, per innamorarmi di me, della mia vita, delle persone.

Non sono più la persona che ha subito quella vita, ma una donna che l’ha vissuta e l’ha superata: molto spesso mi è capitato di elencare qui, internamente, con amici, dei fatti, degli episodi, delle relazioni per raccontare la solitudine perenne con cui ho convissuto, e la sensazione di uscire sconfitta dal confronto con altre vite.

Poi, sempre di più, quelle persone che oggi mi vogliono bene, che mi conoscono, con cui mi espongo, a cui racconto quegli episodi, quei mostri, mi dicono:

Sei molto lucida, e anche se è brutta come espressione, sei una donna con due palle quadrate

C’è una differenza tra il fare l’elenco e sentirsi comunque inadatte, e mettere insieme il proprio passato e dirsi:

Ho davvero fatto le scelte migliori che potessi fare, complimenti

Lo strabismo quotidiano

Che sguardo abbiamo di noi stessi? Come ci valutiamo, quanto ci giudichiamo?
Quante volte ci siamo dati degli idioti per qualcosa che abbiamo pensato, quanto ci siamo rimproverati per essere pigri le volte in cui avremmo potuto fare di più?

Quando guardo le donne che conosco, vedo un’immeritata pesantezza: una responsabilità verso gli altri prima che verso noi stesse, un’accusa al tempo che passa e che non ci ha reso più brave, un giudicarsi sempre, la paura incontrollata di aver commesso degli sbagli.
Un prendersi la responsabilità per tutto e per tutti, un’ansia di gestire la propria vita che non capisco più, che vorrei non capire mai più.

I miei complimenti

In questo 2019 ho avuto incontri inenarrabili, momenti di stallo, magoni ormonali, cotte stellari, insonnie fastidiose, crampi, abbracci, tantissimi limoni, nuovi lavori, vecchi lavori, più condivisioni, meno affanni.
Più mi frequento con curiosità, più il dialogo e la conoscenza con gli altri è onesta: è la vita che fa il suo giro, e a braccetto è pure più divertente.

La vita delle donne che conosco è un imprevisto continuo, una ricostruzione di cotone imbevuto nel gin, delle rughe che non temono di essere solcate.

Stiamo tutte risalendo: da un divorzio, da un aborto, da una relazione che non nasce, da un lavoro che non ingrana, da un passato che rispunta in maniera inaspettata.

Stiamo tutte facendo festa, stiamo tutte facendo tentativi ragionati e a caso nella stessa giornata: io, come loro, ho capito che il dolore, e la solitudine, non sono ineluttabili. Lo si comprende con tentativi a caso, in mezzo a una vita disastrosa e festosa, tirandosi fuori da una realtà che non ci assomiglia e facendolo un po’ alla volta: si diventa finalmente capaci di decidere per il proprio meglio, facendo la scelta preferibile per noi stesse, complimenti.

Ma ei, c’è la merDaviglia

La merDaviglia, alla fine, è questa cosa qui: guardare con obiettività il proprio presente con l’occhio non più su quello che non abbiamo ottenuto, ma sullo scarto tra un passato complicato e un presente che magari fa ancora fatica, e stupirsi, tantissimo: dirsi brave, sempre, per quelle che abbiamo imparato a proteggere. Condividersi, allietare, smezzare.
È darsi miccia, avvalorarsi, spartire, riempirsi.

Questa lotta e questa vittoria sono per noi: per noi che sappiamo chi siamo, per noi che non vogliamo rimpicciolirci.
Di nuovo: sono più le donne rispetto agli uomini a scavarsi e a esprimersi e a voler sciogliere i grovigli e a condividerli? Non lo so, e davvero: per il mio futuro, in maniera molto egoistica, vorrei incontrare uomini che la merDaviglia la sappiano riconoscere, esprimere, approcciare.

Sono stanca della paura, della mia stessa paura e di quella altrui: provo a stupirmi per quello che non so ancora fare, per i sentimenti che arriveranno, per le scelte di cui mi pentirò.
Meglio piena, meglio e sempre, merDavigliata.

 

[Photo by Laura Vinck on Unsplash]

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Ci sono 4 commenti

  1. Merdaviglia è un concetto che mi piace, meno pesantezza e più iniziativa. Forse gli uomini non la vivono come noi, ma posso assicurarti che alcuni hanno quella giusta sensibilità per scovarla in mezzo alle nostre infrastrutture.

  2. Uno dei post più belli che abbia mai letto. MerDaviglia is a state of mind. Ma sopratutto questo:

    “Vorrei un figlio, per proteggerlo e raccontargli che la vita è scoprire ogni giorno che c’è qualcosa di diverso, e non temere quella diversità, ma farla propria, per crescere, assimilarsi, migliorarsi, farsi amare.”

    Te lo auguro con tutto il cuore ❤️ Non c’e viaggio più bello.

  3. Uno di quei post che fanno rimpiangere la carta stampata, che ti permette di ritagliare l’articolo e portarlo con sé sempre, nel portafogli o nel libro che si sta leggendo. E intanto sento la tua voce che mi dice “allora stampatelo!”
    Ora capisco che è la merDaviglia che accomuna due donne tanto diverse come me e te. Grazie. E grazie alla terapia, credo.

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