La gravità dei microcosmi

Parlare di coppie si può tradurre in “mondi”: microcosmi che ruotano a velocità diverse da quelli di chi vive solo. Pianeti che ricevono energie differenti quando si sta insieme a qualcuno. Non necessariamente è amore, non sempre, non per sempre.

Il tempo

Si è semi, o si hanno radici: nell’amore non c’è una via di mezzo.
C’è la fase dell’innamoramento, dove ogni stabilità è persa, quando emozioni scombinate nelle nostre giornate rettangolari ci fanno prendere la forma di pinguini bagnati, dizionari strappati, lenze per carpe. Lì è il mondo delle parole mozzicate, delle altalene piccole con sedere di adulto, della geografia compressa in una rete ondivaga: sei più tu che voi, e poi c’è un noi che sai bene che voce abbia. Ma ti piace.
Si avanza, spesso quando uno dei due realizza che più che l’idea generica di un noi è proprio la concretezza dell’altro che desidera: il suo odore quando entra in auto, la foto di quando aveva 15 anni e andava ai concerti di Polly Jean Harvey, la schiumetta del caffè come la prepara lui, i segnalibri che ha ritagliato dalle enciclopedie di casa con gran sconcerto dei genitori.
È un tentativo dire, e dirlo ad alta voce: è lui, lei che voglio.

È di te che mi sto innamorando.

Fa paura. Realizzarlo, dirselo, abbandonare le resistenze ancora prima di pronunciarlo.
Se la fortuna ti sorride, se hai colto dei segnali, se l’altro è stato bravo a mandarteli, può succedere che a innamorarsi si sia in due. Ecco, è nata una nuova coppia, un presente nuovo, un futuro in cui la calce è sempre umida, la libertà di dire “ti voglio” tutte le volte che vuoi.
Stare insieme significa soprattutto costruirsi un passato condiviso.
Il viaggio a Madrid diventerà la vacanza del grande caldo. Miriam e Matteo che avete conosciuto a un corso nel 1998 sarà la coppia di amici che vi accompagnerà fino al vostro matrimonio, per poi lasciarsi un anno dopo. Ci sarà la torta Helvezia di Mantova, assaggiata durante il Festival della Letteratura e poi diventata un appuntamento costante. Le prime mete che diventano abitudini, la finestra verso i pioppi che si tramuta in ricordo, la canzone di Raffaella Carrà che ancora ballate in salotto.
Dieci, quindici, trent’anni di vita che hai passato ogni giorno insieme a qualcun altro: quando ti capiterà di guardarlo e chiederti se lo ami ancora, che peso avrà tutto questo tempo?
Saprai distinguere l’amore dalla placidità dell’essere conosciuta?
Se lui ti ha dato tredici anni di buonanotte con una buona dose di attenzione, e tu gli hai dato gli ultimi due anni di buongiorno a malavoglia, riuscirai davvero a immaginarti una vita senza di lui?

Lo spazio

La porta del bagno che apri senza bussare. Le chiavi che lascia sulla mensola celeste. La polvere che non toglie mai. Le ciabatte sempre sotto il letto, il bracciolo della poltrona con il segno del gomito, impilare i bicchieri fino a tre, scolare la pasta due minuti prima del tempo indicato.
Tutte le cose che all’inizio ti infastidivano diventeranno quello che conosci dell’altro, che gli daranno uno spazio in casa anche quando lui in casa non c’è, che talvolta precedi ancora prima che lui le faccia.
Sono anche le cose che ti aspetti che non gli permettono di cambiarle, se un giorno volesse cambiarle.

Ortro, il cane a due teste

Esiste un’energia, all’inizio di una relazione, che si muove tra le camere come flosculi di soffione: elettrizza le linee che vanno da casa al lavoro, dalla stazione fino al supermercato. Incendia gli incroci, fa squillare le cabine telefoniche in disuso, aziona gli ascensori arrugginiti.

Dovunque ci siano parole tra di voi, esistono possibilità: di vedervi, di modificare, aggiustare, stupire. Basta smuovere le emozioni, e l’amore agirà su tutto. Ci si scopre, ci si disarma, si allarga l’anima, e quello che conoscerai di lui è una costante scoperta: si cambia, insieme, in un’unione che è felice di avere una sola testa, un solo cuore.
Quando il movimento s’acquieta e la testa sarà diventata una, non riuscirai a capire cosa sarà sopravvissuto di voi, di te, di lui sotto quella simbiosi: sarai talmente abituata a procedere su un marciapiede per due che ti domandi se riuscirai a risalirci, e procedere senza di lui.

Cosa chiedi, cosa ricevi

Sei una persona che chiede le cose? Chiami le persone ad alta voce? Abbracci e stringi o abbracci e sfuggi?
Quello che non chiedi è la scusa per lamentarti di quello che non ricevi.
Un giorno però arriva lui, ti innamori, e scoprirai che chiedere non serve come prima: basta conoscersi, addomesticarsi, passare del tempo insieme per capire che quando ti fidi di qualcuno l’azione del domandare si distende, e non viene trattenuta dal timore di non trovare risposta.
Scopri di avere una voce man mano che parlate, tiri via i cristalli conficcati tra le scapole, sgorghi nuova da te: ti riempi di un’altra persona, e la generosità nel darsi tesse un equilibrio elastico dove il timore di delusioni viene rimbalzato.
Diventare punti di riferimento per l’altro: per le altrui fragilità, dei reciproci egoismi, degli immensi o meschini valori. Ti abitui a chiedere solo a lui, a farti bastare quello che ricevi, a preoccuparti per quello che c’è fuori se fuori ci vai da sola.

È per sempre?

Quello che sembra forza in una coppia è un pugno chiuso che accoglie tempo, spazio, abitudini: conoscere e farsi conoscere è un atto raro, faticoso, per nulla scalabile, che rende la vita sostenibile.
Sai distinguere il sentirsi a casa dall’essere attivamente in coppia? Lo vedi ancora l’altro, davvero? Che possibilità ti dai di cambiare senza sentire che lo stai tradendo?
Ci sono ancora i flosculi nelle vostre stanze?

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