Studio illegale è uscito qualche mese fa, ed è stato subito un successo.: nato dalle costole del blog, racconta le vicende di Andrea Campi, avvocato milanese trentenne che si dibatte tra orari impossibili, appuntamenti imperdibili, affanni e assurdità nel non tanto magico mondo degli avvocati.
Un simpatico libro di satira di costume, si direbbe, ma non sottovalutate la sua funzione pedagogica famigliare.
Per me Studio illegale è diventato il vademecum di mediazione culturale con la mia famiglia.
Quando cercavo di spiegare a mia madre cosa mi lasciava interdetta di Milano, di quali nevrosi sociali soffrisse, quanto le caricature del rampante milanese (e delle sue vittime) fossero estremizzazioni e non deformazioni della realtà, non trovavo le parole. Le ho passato il libro, e ora sa. E l’ha saputo facendosi anche ricche risate.
Penso che per gli avvocati ci siano motivi in più per sorridere – o chissà per inalberarsi – assistendo alla vita quotidiana di Andrea Campi. Un mondo che vive di lingue, orari, rapporti tutti suoi, che crea regole per cui adattarsi significa rinunciare a una vita al di fuori del lavoro, e nel quale crescere non ammette molti spazi di libertà. Si sorride per il tono, ma è uno show che fa amarezza. Una di quelle occasioni per ridere, abbandonarsi alla leggerezza, e insieme temere per noi stessi.
Duchesne racconta percorsi difficili di un uomo con la leggerezza di uno scrittore esperto, con humour e garbo, che ha portato tantissimi lettori (me compresa) a ridere da soli durante la lettura. Attraverso la storia di Andrea Campi, al lavoro e nella pericolosa girandola dell’amore, Duchesne traduce le ansie e gli interrogativi del trentenne nella guerra fra ufficio e vita privata. Una guerra raccontata dalla prima linea, dal fronte, da Milano.
Di cibo si parla parecchio, ma a noi non bastava e gli abbiamo chiesto un rinforzino.
La prima domanda, d’obbligo, è la seguente: gli avvocati sanno cucinare o mangiano sempre fuori?
No, al contrario, le pizzate tra avvocati, nonostante i tanti luoghi comuni sulla scarsa simpatia della categoria, son qualcosa di parecchio divertente, torna fuori una certa anima semplice che non dispiace riscoprire. Il problema, come al solito, è il tempo, sempre scarso. E allora più che mangiare fuori, in bei locali, si finisce per mangiare la sera tardi a casa, da soli, recuperando quel poco che si trova in frigo e combinandolo alla bellemeglio. Tonno e mais, per me, resta ancora la combinazione imbattuta.
C’è solo la schiscetta come fuga dall’esaltazione? È proibita la schiscetta, nei piani alti?
No, altro che proibita, anzi, si torna al discorso della semplicità e del mangiare qualcosa che abbia un sapore vero. Visto che alla fine anche il pane col cartone ha un buon sapore se lo si affoga di salsa rosa e, nei bar del centro, funziona un po’ così: indichi un panino e l’uomo dietro al vetro chiede: “un po’ di salsa?” e tu guardi questo panino tutto rigido e pensi che forse, quasi quasi, un po’ di salsa rosa non può far male.
Vedo sgattaiolare da locali chic con aperitivo di grande charme pattuglie in gessato verso il vicino kebabbaro per arrotondare le tartine con un po’ di sostanza. Facevi parte della pattuglia?
No, io ero uno di quelli col piattino tutto pieno di polpettine, pasta fredda, focaccine, pizzette, pomodorini secchi, olive, patatine, una cosa sull’altra, che faceva finta di metterlo in comune ma lo teneva sempre un po’ più vicino a sé.
Ogni tanto a Milano possono accadere eventi straordinari, come l’essere invitati a cena a casa da amici o addirittura da colleghi. Ti è mai successo?
Uhm, questa domanda mi mette in difficoltà, perché realizzo solo ora che nessun capo, collega o affine ha mai cucinato per me.
Sai cucinare?
Mi piace molto mangiare, ma ho una dieta che suscita vergogna. Non mangio quasi nulla che cresca dalla terra. In vita mia, per dire, non ho mai assaggiato una zucchina o un cavolfiore o una melanzana. Pasta, carne, pesce, poco altro. Molti dolci. Le analisi del mio sangue mi danno l’età per candidarmi a Presidente della Repubblica. E se si aggiunge che non so nemmeno cucinare, ne esce un quadro che avanza pietà. Devo dire però che, da bambino, in colonia, mostrai un piglio che poi ho perso: quando si trattò di scegliere l’attività a piacere, tra “calcio”, “basket”, “canoa”, ecc., scelsi “cucina”, tra i sorrisi di chi suggeriva una mia possibile omosessualità e gli sguardi di invidia di chi invece pensava avessi capito tutto, unico bambino tra venti bambine. A parte questi risvolti sessuali, imparai a fare la torta di pane e il salame di cioccolato e chiusi lì la mia carriera culinaria.
Dove preferisci mangiare, quando esci?
Tra aperitivo e cena, decisamente cena, di qualunque tipo, ristorante, pizzeria, etnico. Sconfessando quanto dicevo, ultimamente, in effetti sto cercando di sperimentare, nei limiti di significato che questa parola può avere per me, insomma, di fare qualche sforzo e, così, sto provando qualcosa di più particolare e ci sono alcuni posti dove torno sempre volentieri: Samson, un ristorante eritreo in via Melzo, zona Buenos Aires; Sushi San, per quanto mi riguarda il miglior sushi di Milano, sui Navigli, in via Ascanio Sforza; Mido, un arabo in zona Col di Lana, via Custodi; tutti posti che hanno in comune piatti ottimi, prezzi più che contenuti e un’atmosfera familiare che vale a farne la differenza.
Rimanendo in tema di locali, una domanda che tutti i milanesi si saranno posti: il pizzaiolo Aldo esiste veramente? E davvero prepara le pizze a forma di cuore?
Ah, sì che esiste. Esiste, ed è la gran bella persona che descrivo nel libro. Il suo ristorante-pizzeria si chiama Piedigrotta, in via Cesare da Sesto. E le pizze, per le donne, sono davvero a forma di cuore, poi chiaro che uno, per un primo appuntamento, fingendo nonchalance, porta la ragazza lì.
BElla intervista, un po’ inquietante sotto certi aspetti :) ma mi hai sicuramente incuriosita tantissimo sul libro, domani era gia’ in programma un giro in libreria :D, mi ci vorra’ dopo il libro terribilmente serio (e triste) che sto leggendo adesso!