Il #WebCheVorrei. Sulle polemiche online

Quando abbiamo aperto questo blog, nel 2006, ci preoccupavamo poco dei toni e delle critiche: scrivevamo recensioni sarcastiche e molto negative, tuonavamo contro la pubblicità sui blog. Ci schieravamo nettamente, diciamo. Facevamo anche foto del cavolo e pubblicavamo ricette insulse, se è per questo.

Nel 2014 non faremmo nulla di tutto questo, e qui ci metto in mezzo quella che è la nostra professionalità e anche una certa attitudine: il mestiere del recensore implica temperanza nei confronti delle stroncature, il lavoro della Pr comporta un atteggiamento amichevole e accogliente nei confronti di opposte tipologie di persone, e noi come blogger preferiamo guardare e indicare ciò che è utile per gli altri piuttosto che l’esempio da deridere.

Più o meno sui social l’atteggiamento corrisponde: dico più o meno perché lì siamo più istintivi, ma comunque cerchiamo di tenere sotto controllo tutti quelli che sono gli umani sfoghi contro le scocciature della vita, cercando di esternarle meno possibile, o al massimo di farlo in toni ironici, per non drammatizzare quegli spazi di incontro con persone che possono essere amici, clienti, colleghi che a loro volta su quegli spazi cercano una condivisione e una buona dose di piacevolezza.

Nell’ultimo mese mi è capitato spesso di imbattermi, nella timeline di Facebook, in polemiche lunghe, articolate, corali portate avanti da blogger di diversi tipi: contro la fuffa del viaggio in California, contro le agenzie che vogliono comprarmi con un pacco di farina, contro gli uffici stampa che confondono giornalisti con i blogger, contro le associazioni di blogger (Aifb e bloggalline), contro contro contro. Alcune le ho seguite, di altre ho sorriso, alcune mi hanno infastidito, a quasi nessuna di queste ho partecipato per la mia ossessione della neutralità.

Nel web che vorrei le polemiche hanno un senso (e non sto dicendo che quelle sopra sono tutte insensate), e qui tento dei criteri che caratterizzano quelle critiche che sono sfoghi e di cui mi sbarazzerei come di un pelo di asino con un cerino. Sì, è un elenco pensato in un impeto di naiveté, di quelli che appartengono a quei giorni in cui chiudi gli occhi e nella tua testa c’è un unicorno che sta preparando una Sacher per te e i tuoi amici: oggi però va così, e me la godo.

Possiamo chiamarlo quindi: Elenco delle polemiche che vedo sui social e me ne fottesega o anche, in maniera più polite: Elenco delle polemiche umane che rendono il web un posto peggioreEd eccole qui, aggiungete se ne volete:

1. L’obiettivo è la tifoseria

Sono quelle polemiche che sono annunciate da una presa di posizione che posiziona chi inizia la polemica in una certa categoria: “io che faccio parte di… allora sono contro” o anche “per me che sono così… tutto questo non ha senso”. Sono enunciazioni di principi, la maggior parte delle volte, che fanno di noi persone più nobili di quello che siamo. Lo so, lo faccio anche io, lo sto facendo anche ora. È un chiamare a raccolta i propri simili, e qui la differenza la fa l’obiettivo: dare una mano a qualcuno, dare addosso a qualcuno. Ecco, dirsi migliori + cooptare gli accoliti con una chiamata la cui risposta presuppone dirsi migliori a loro volta + usare questa miglioranza per sminuire una o un gruppo di persone = avere bisogno di un gruppo per ergersi dove da soli non si sa arrivare. Ci serve seguire i tuoi tifosi? O crearne? Io dico di no.

2. Riguardano una diatriba tra te e un’altra persona ma non fai il nome

Lo sapete meglio di me: il web, e i social, sono pieni di luoghi dove c’è una persona che indica l’azione scorretta, infida, meschina, brutale di un’altra ma la direzione del suo dito termina in un cono d’ombra. Non si fanno nomi, e il non detto crea centinaia di non luoghi dove abitano questi cattivoni che qualcuno ha capito chi sono e altri lo sospettano.

Le persone partecipano comunque a queste esternazioni surreali, perché spesso hanno la forma di status che rimandano a un rancore comune, popolare, compreso da molti: ed è subito fila alle Poste. Altri sanno di cosa si sta parlando, e partecipano con altrettante risposte criptate, scambiandosi pizzicotti e gomitate virtuali che fanno sogghignare solo loro. Che barba, che noia.

3. Sono il sostituto di una soluzione che ignori

Sui giornali, i siti, le testate che rubano le foto di blogger abbiamo visto scorrere secchiate d’inchiostro. Se dieci anni fa qualcuno avesse rubato una foto dal nostro blog, avremmo chiamato nostra madre e ci saremmo sfogati con lei. Oggi apriamo Facebook e insultiamo quello e quell’altro. Certo, molto umano, ma perché non cercare una soluzione efficace, o una mano, invece che scrivere righe assatanate che non servono a nulla? E poi: siete sicuri che sia solo colpa loro? Che tipo di licenza avete sul vostro blog? Avete tentato già tutte le strade? Avete fatto una ricerca per capire come chiedere un rimborso? Non so: magari ti sfoghi, cerchi una soluzione e la trovi. Ma hai mai pensato che potresti trovartela da sola?

4. Sono sempre le stesse tutti i giorni

Come in Golconda, ogni mattina c’è chi si lamenta della stessa cosa: il proprio capo, i propri dipendenti, i clienti, la mensa. Una sempiterna litania che non ottunde le parti attive delle sinapsi ma anzi le stimola come nervi scoperti con quotidiane iniezioni di fastidio. Non possiamo certo tutti essere ottimisti, o positivi, ma fare del proprio pessimismo e disamore verso l’umanità un dialogo da portare avanti sui social sperando che a qualcuno interessi o che voglia partecipare, beh, mi sembra illusorio. Spesso seguiamo o “diventiamo amici” di persone con cui non abbiamo un rapporto di stima o di affetto: quello che ci lega sono stimoli, scoperte, dibattiti. Perché dovei continuare a seguire una persona che sa darmi solo negatività e pure in dose reiterata?

5. Sono contro una categoria.

Anche qui dichiaro la mia colpa: ci sono uffici stampa che prenderei a randellate. C’è quello che non segmenta la propria lista e ti manda gli inviti per un evento a Cosenza anche se abiti a Torino – e magari ti chiama per chiedere conferma; quello che ti chiama da un numero sconosciuto come il peggiore esattore che vuole rimanere anonimo; quello che ti manda comunicati sugli orologi a Cucù da anni e non ti rimuove dalle liste nonostante glielo abbia chiesto in ogni lingua. Quelli che ti mettono in cc insieme a 200 persone.

Cose che si possono fare prima di inveire contro di loro: chiedere di cancellarsi dalle liste, se non vi interessa; dare un suggerimento, per migliorare il loro lavoro e renderlo utile anche per te; metterli nello spam, se, dopo dieci richieste di eliminarvi dalla mailing, continuano a scrivervi di cose che non vi interessano. Azioni private che servono a ottenere lo scopo che vi è utile, senza per questo includere negli sfoghi professionisti che quel lavoro lo sanno fare e anche benissimo.

Non è un elenco completo, ma credo che le parole funzionalità, equilibrio, supporto che fanno da sfondo alle parole di cui sopra possano disegnare un web migliore e più interessante di quello che vediamo ogni tanto. Se vi va, scrivete la vostra con l’hashtag #webchevorrei.

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Ci sono 2 commenti

  1. Faccio parte di tanti gruppi e di nessuno. Come dico spesso, io prima sono Cranberry, lavoro ( o faccio finta di lavorare :D) solo come Cranberry , ma trovo che le associazioni, i gruppi le community servano per migliorare, confrontarsi e condividere le proprie esperienze. Se qualcuno la mattina prima di svegliarsi e scrivere respirasse 10 secondi e pensasse, forse si eviterebbero tante polemiche inutili e sterili.
    Non fanno bene proprio a nessuno e rendono questo mondo del web sempre più brutto da seguire. Mi dissocio e me infischio, “campo” felice e continuo sulla mia strada :D
    Brava Mariachiara, mi piace proprio il tuo articolo!

  2. “non partecipare a polemiche sterili su facebook” era IL mio buon proposito post BlogFest2013 (pensa che l’avevo anche scritto su un post ma poi mi ero imbarazzata della riflessione personale e avevo tagliato le conclusioni -che scema) per cui non posso che essere d’accordo su tutta la linea. Stima per aver scritto questo articolo brillante e onesto sul mis-use dei social. Personalmente mi sono molto allontanata da Facebook fino a pensare di chiuderlo perché mi sono accorta, semplicemente, che mi peggiora le giornate.

    Salutami l’unicorno e digli da parte del mio che quando viene uno di quei bei pomeriggi di pioggia di novembre passerebbe volentieri dal tuo per un tè. Porta i biscotti, fatti fischiettando.

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