Dona Ilda prepara bajias da 30 anni, dal cortile di casa sua: le badjias, o bajias, sono frittelle di fagioli tipiche del Mozambico. Si mangiano a ogni ora del giorno, a partire dalla colazione.
Incontro Dona Ilda a maggio del 2024, durante il mio viaggio di lavoro con Helpcode. Quel giorno sto per lasciare Maputo e tornare in Italia, e Ilda è l’ultima persona che conosco prima di partire: vive nel quartiere di Malhangalene, ha almeno 60 anni, i capelli bianchi, e la pelle ruvida. Arrivo lì con Francesco, il mio referente di Helpcode a Maputo, e i suoi due figli: sarà una lezione di cucina vera e propria, e non so chi è più emozionato.
Casa della signora Ilda è una rimessa, che si trova nel cortile di un palazzo, lo stesso dove cucina: ci accoglie all’esterno, e quando va in casa a prendere ingredienti o oggetti, riesco a vedere all’interno. Lo spazio non ha quasi luce, ed è pieno di oggetti, radio, tovaglie.
Il lavoro di Ilda è quello di preparare le badjias, e lo fa ogni mattina: esce da casa, prepara la postazione, e frigge le polpette di fagioli. Quando piove, frigge in casa.
Le badjias si preparano partendo dai fagioli messi a bagno per 12 o 24 ore, che vengono poi tritati e ridotti in farina: ci sono commercianti che comprano la farina già pronta, ma Ilda fa tutto da zero. Coltiva i fagioli nel suo orto, li mette a bagno, e crea la sua pastella: il procedimento è lungo e ci vuole un sacco di energia.
Si mettono i fagioli ammollati in un recipiente di terracotta non trattata, le cui pareti devono essere ruvide: i fagioli vengono ridotti in pastella strofinandoli con un grande pestello contro le pareti, non schiacciandoli e basta.
Il pestello è un legno non resinoso che si chiama alguidar o mbenga in dialetto locale, non facile da maneggiare: la manualità di chi prepara qualsiasi ricetta tradizionale a mano è lampante, e quello che appare facile dall’esterno, smette di esserlo quando afferriamo gli strumenti di lavoro. Potete vedere sul mio profilo Instagram con i vostri stessi occhi.
Il gesto di strofinare col pestello serve infatti a incorporare aria, mentre i fagioli vengono tritati: la pastella si gonfia come se avessimo aggiunto del lievito, ingrediente che però manca. Mentre lavoriamo la pastella, uniamo cipolla tritata, foglie di basilico e piri piri in polvere, ossia peperoncino. In un altro mortaio, più ridotto, pestiamo alcuni spicchi di aglio con sale, e poi uniamo anche questo all’impasto. Se serve, si aggiunge un po’ di acqua.
Poi, si frigge: Donna Ilda prepara un braciere su cui appoggia una pentola con dell’olio. Non c’è gas, non esistono friggitrici. Non serve formare le polpette prima di friggerle: l’impasto dovrebbe essere morbido e scivolare dal cucchiaio direttamente nell’olio bollente. Si cuociono 7-8 polpette alla volta, e si mettono via man mano che sono pronte.
Con un chilo di farina di fagioli, Donna Ilda riesce a preparare 450/500 badjias: le vende da sole, o più spesso in un panino con piri piri, maionese o ketchup, o in alternativa con insalata, e carote a julienne. Nella sua bancarella prepara e vende anche le chamussas, ossia i samosas, le frittelline di verdure, e i rissóis de camarão, che assomigliano ai nostri sofficini, con crema di gamberi. Alcune preparazioni qui in Mozambico hanno radici indiane, perché sia Goa che il Mozambico hanno fatto parte della dominazione portoghese, e la gastronomia del paese è ricchissima di queste influenze.
Le ricette con i legumi, in Mozambico e nel mondo
Ci avete fatto caso che in Italia non esistono polpette di legumi se non già pronte al supermercato? Abbiamo le panelle, la farinata, ma la maggior parte dei legumi prevede cotture in umido, e accompagnamento con cereali, verdure o carne. Il mix di legumi ammollati, odori e spezie appartiene a una tradizione di street food che in Italia si è sviluppata con altri ingredienti: le crescentine, gli arrosticini, il piede e il muso, il panino col lampredotto e quello con la milza, la pizza a portafoglio, le olive all’ascolana, e mille eccetera.
Usiamo carne, strutto, cereali raffinati. In altri paesi del mondo, Mozambico compreso, il ruolo di questi ingredienti è marginale: pensiamo ai falafel con fave o ceci, aglio e aromi, i pakora di lenticchie che brillano per le spezie, gli acarajé afro-brasiliani, con fagioli dell’occhio e accompagnati da gamberi. Fanno eccezione i kofta, preparati con carne, ma appunto: l’utilizzo dei legumi nello street food nel mondo e in Italia vede trattamenti molto diversi.
Le ragioni sono diverse, e sono tutte ipotesi: in giro ho trovato poca letteratura, quindi sono contenta se persone esperte di badjias e legumi vorranno intervenire.
- I legumi secchi possono essere conservati più a lungo, quindi dove mancano dei luoghi di conservazione di ingredienti freschi o cotti, quelli secchi diventano una risorsa accessibile a lungo, e senza molti investimenti.
- Fagioli, ceci, fave, per dirne alcuni, sono una risorsa alimentare significativa come proteine e fonte di fibre, molto più preziosa in paesi come il Mozambico dove la lavorazione degli animali a uso alimentare è minima: molti animali sono moneta di scambio per spese importanti, non esiste la consuetudine di mangiare le uova.
- In Italia come in altri paesi del mondo esiste un mercato che spinge moltissimo la domanda di carne, per soddisfare gli interessi di aziende del territorio: la disponibilità, la visibilità e i messaggi positivi che accompagnano il consumo di carne – sempre meno, per fortuna – sono il frutto di un’economia capitalistica che tende a sfruttare le risorse esistenti, animali e persone.
- L’ammollo e la cottura sono due attività che necessitano di diverse disponibilità idriche e di tempi di cottura: è probabile che dove i legumi vengono ammollati e lavorati, ci sia meno acqua a disposizione e una cucina di strada più sviluppata.
- In paesi come l’Egitto, i giorni in cui osservare un’alimentazione che non preveda carne, sono maggiori rispetto all’Italia
- Non solo disponibilità: il modo in cui gli ingredienti sono investiti di capacità nutritive cambia molto da paese a paese. Proviamo a vedere una ricerca su legumi e linee guida nutrizionali del 2022, a cura di Hughes, J.; Pearson, E.; Grafenauer, S. Legumes dal nome “A Comprehensive Exploration of Global Food-Based Dietary Guidelines and Consumption Nutrients 2022, 14, 3080”. L’immagine qui sotto ci indica che a seconda dei paesi i legumi vengono raccolti sotto un cappello o un altro, esistono o meno dosi raccomandate e così via.
Quindi, cosa facciamo con i fagioli?
Dona Ilda continuerà a cucinare polpette di fagioli finché non avrà più la forza di farlo: il modo in cui un paese mangia è legato a filo strettissimo alla sua economia. Dove c’è sviluppo, internazionalizzazione, investimenti, la dieta potrà affrancarsi dagli alimenti del territorio, e inserire ricette e ingredienti che non hanno come solo obiettivo la sopravvivenza, ma anche la nutrizione, e la ricerca del gusto.
A volte dimentichiamo che le informazioni su cosa mangiare per stare bene, rimanere concentrati, dimagrire, ingrassare, sono un effetto del contesto economico in cui viviamo, che determina le politiche di nutrizione e foraggia certi settori industriali e non altri. Insomma, non sono competenze con cui nasciamo.
Questo incontro con Dona Ilda ha aggiunto valore al lavoro sul campo e nelle scuole di Helpcode, perché se anche non è un rapporto diretto, assistere a un esempio di economia e di rete commerciale, permette di unire altri puntini per chi, come me, scrive di cibo e collabora con una ONG.
Spero che da qui in poi, un giorno, se andrete in Mozambico, possiate mangiare un panino con le badjias, e capire che, sul serio, non è una polpetta qualsiasi.
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