Tutto quello che sappiamo del burro è falso

Io amo il burro: lo mangio a pezzi, lo spalmo sul pane, ci condisco la pasta con le alici e la scorza di limone. Ho cominciato ad amarlo da quando vivo in Piemonte, dove il burro a volte lo mettono anche nel sugo. Qui in Piemonte ho scoperto il burro non da supermercato ma il burro che compri in macelleria, o gastronomia: qui ho cominciato a imparare la differenza tra burro buono e quello più industriale.

Sono pianeti diversi: il burro che arriva da realtà piccole e medie è, in linea di massima, un prodotto che ha diverse sfumature di sapore. Ha un gusto più rotondo, dolce, una consistenza scioglievole e densa, il colore non è perlaceo ma tendente al giallino. Quello industriale è bianco, ha un sapore di frigorifero o comunque più neutro, è meno grasso sia in bocca che al coltello.
Ho imparato che il burro da centrifuga è migliore di quello da affioramento, e bon: pensavo di sapere abbastanza per entrare in una gastronomia, leggere un’etichetta e scegliere il burro più adatto.

Ma poi ho visitato un burrificio ad Airasca, ed è cambiato tutto: sono entrata pensando di essere una persona informata, e invece sono uscita con mille domande e il bisogno di trovare delle risposte.
Ho pensato che sappiamo davvero poco del burro che mangiamo: alcune di queste domande servono a fare scelte più consapevoli, altre per trovare insieme delle risposte.

L’intervista: Burrificio Brussino ad Airasca

A fine agosto ho scritto al Burrificio Brussino, di cui compro il burro da anni: ho scritto alla mail generica, mi sono presentata e ho chiesto di andare a trovarli per conoscerli da vicino e soprattutto imparare qualcosa sul burro.

Il burro è il cibo degli dei per me, e vorrei proprio conoscerlo di più.

Dopo un paio di giorni è arrivata la risposta di Valeria, ci siamo sentite e ci siamo accordate: già al telefono mi ha anticipato che mi avrebbe raccontato qualcosa di interessante.
A settembre sono quindi andata ad Airasca, un comune di circa 4.000 abitanti in provincia di Torino, direzione Pinerolo. Qui si trova il burrificio Brussino, dove lavorano Valeria, il marito e i suoi due figli: sono i discendenti di Francesco Brussino, che alla fine degli anni ’40 rilevò questo caseificio fondato nel 1909. All’inizio producevano anche latte e formaggi: oggi sono specializzati in burro artigianale, proveniente da panna da centrifuga, realizzati con calchi in legno e incartato a mano.
Una curiosità sui calchi, che oggi hanno forma di conchiglia o di mucca: vengono sanificati in un’autoclave, per non contaminarli con prodotti chimici.

Credits ph @Burrificio Brussino

Sono arrivata qui pensando che avrei fatto la classica visita nello stabilimento, solo che non è andata proprio così: ho intravisto un minuto del processo produttivo, il tempo di vedere una montagnetta di burro trasformarsi in decine di conchiglie. Meglio di un incantesimo.
Ho trascorso il resto del tempo a parlare con tutta la famiglia intorno a un tavolo di tutto quello che c’è intorno al burro: latte, etichette, pesticidi. Poca poesia, tanta consapevolezza.

Le etichette del burro: panna da centrifuga e di affioramento.

Quando scegliamo il burro, abbiamo due tipi di etichette: burro da panna da centrifuga e burro da panna di affioramento.

  • Il burro da panna da centrifuga è quello considerato di qualità maggiore: arriverebbe da panna italiana e da latte appena munto. Viene sottoposto a una centrifugazione a temperatura bassa, dove si separano la parte grassa dal latte magro: il risultato è una panna dolce e non fermentata.
  • Il burro da panna di affioramento proviene dalla panna affiorata in seguito alla produzione casearia: si raccoglie il latte usato in prima battura per la produzione del formaggio, che viene fatto riposare per diverse ore a una temperatura di circa 15°. Si raccoglie poi la panna che affiora, che viene usata per il burro.
  • C’è però una terza etichetta, che è più “nascosta”: un tempo il burro da panna da centrifuga veniva chiamato burro extra, ma oggi le regole sono cambiate. Oggi l’etichetta “da centrifuga” non indicherebbe più solo il burro prodotto con panna fresca, ma anche quello che include una percentuale di burro di siero. Lo so: ma chi lo ha mai sentito, ed ecco che vi racconto quello che so.

In Italia abbiamo un debole per i formaggi: non solo come consumatori, ma come produttori. Il latte che produciamo viene destinato prevalentemente alla produzione di formaggi: il siero che ne deriva è un sottoprodotto che deriva dal processo di caseificazione. Questo siero ha ancora una percentuale di grassi, che vengono recuperati sotto forma di panna da siero: questa viene ottenuta anche mediante centrifugazione del siero. È una panna che non assomiglia per nulla alla panna da centrifuga, ma che viene usata per produrre il burro da siero.

Ora, dove starebbe il cortocircuito?
In Italia la denominazione “burro” è riservata al prodotto ottenuto dalla crema ricavata dal latte di vacca e al prodotto ottenuto dal siero di latte di vacca, nonché dalla miscela dei due: nel mio burro da centrifuga potrei quindi utilizzare sia la panna da centrifuga del primo tipo, sia una percentuale di burro di siero ottenuto dalla centrifugazione del siero.
L’etichetta, in questo, non mi aiuterebbe.
Su questo punto trovate un articolo di Dario Bressanini e una bibliografia finale per approfondimenti, ma ci sono mille indicazioni confuse: se avete informazioni più certe in merito, scrivetemi.

Una nota sull’aspetto del burro: se pensiamo di riconoscere il burro da panna da centrifuga basandoci sul colore, attenzione. In genere il burro di questo tipo è più giallino, ma basta usare del carotene e il gioco è fatto. L’industria sa sempre tutto sulla natura <3

Credits ph @Burrificio Brussino

Il latte per il burro: quello italiano è meglio?

Quando leggiamo “latte italiano” in etichetta, ci sentiamo tutti più tranquilli.
La domanda è: facciamo bene?

Da Brussino usano latte europeo: nel caso specifico, da nord Europa. È un latte su cui hanno la certezza di cosa mangiano le mucche: erba in estate e fieno in inverno.
E voi direte: serviva rompere le scatole al chilometro zero per avere questa garanzia?

Qui dobbiamo partire da un libro: “Il dilemma dell’onnivoro” di Micheal Pollan, edizioni Adelphi. Nel primo capitolo Pollan ripercorre la storia dei prati e della monocoltura di mais per parlare di mangime, industria, carne: quello che le mucche mangiano non ha nulla a che fare col gusto o col benessere animale, ma deriva dai finanziamenti sulle monocolture e dall’impatto che ha il mangime sui livelli di produzione del latte e sullo sviluppo dell’animale. Una parte importante la gioca anche la politica, con dei finanziamenti che incentivano l’utilizzo di determinate varianti industriali di piante, e i volumi di produzione.
Il risultato è un’alimentazione bovina a base di foraggio di insilato di mais.

Ora, lasciamo Pollan e torniamo in Pianura Padana e ad Airasca, da Brussino: intorno agli anni ’80 hanno visto il latte cambiare, percependo una differenza a livello di lavorazione e gusto.
Il latte che ricevevano produceva prodotti che “scoppiavano”, riferendosi a un processo di fermentazione, che rendeva necessario un intervento di compensazione chimica per stabilizzare il burro.
A livello di sapore, la percezione del gusto del latte era cambiata: da dolce era passato ad acre.

C’è poi un terzo punto, tutto da stabilire: quanto le aflatossine influiscano sulle quantità organolettiche del latte. Le aflatossine sono micotossine derivanti da due specie di funghi, cioè muffe: questo fungo si trova nei mangimi per il bestiame e in diversi alimenti vegetali. Qui cito:

L’aflatossina B1 è la più diffusa nei prodotti alimentari ed è una delle più potenti in termini di genotossicità e cancerogenicità, mentre l’aflatossina M1 è uno dei principali metaboliti dell’aflatossina B1 negli animali e può essere presente nel latte proveniente da animali nutriti con mangimi contaminati da aflatossina B1

Ora: queste aflatossine entrano nel latte con cui viene prodotto il burro?

  • Per il latte, il Ministero per la Salute regolamenta i limiti di concentrazione dell’aflatossina M1.
  • Per altri prodotti caseari, come i formaggi, i limiti di sono definiti attraverso fattori di concentrazione o diluizione della sostanza nel prodotto finito.
  • Esiste in Europa un limite di assunzione giornaliera tollerabile di AfM1 e dei limiti per la sua presenza massima nei prodotti alimentari.

Significa che il latte buono è solo di mucche libere che mangiano nel pascolo perché tutto il resto è cancerogeno e pieno di pesticidi? Le regolamentazioni forniscono livelli di concentrazione e percentuali consentite: quanto queste contribuiscono a restituire un latte salubre e gustoso, rimane da indagare.

Credits ph @Burrificio Brussino

Mangiare burro fa male?

Il burro di Brussino ha 0,231 grammi di colesterolo ogni 100 grammi di burro: come in ogni alimentazione, a fare bene o male non è il tipo di alimento ma la frequenza e la qualità.

Il burro può essere consumato all’interno di un’alimentazione equilibrata, se non abbiamo particolari problemi di salute: basta rispettare qualità e dosi. Il burro contiene poi acido butirrico, che è un prezioso alleato del colon e ha un impatto positivo per la salute dell’intestino.

Il burro può essere poi anche una fonte di molecole che hanno proprietà antiossidanti, e può aiutarci ad assumere piccole quantità di minerali: in questo caso, cosa ha mangiato l’animale da cui è stato prodotto il burro influenza i livelli di queste sostanze.

Come scegliere quale burro comprare

Cosa dire: io senza burro avrei una vita molto più mesta. Lo compro buono, ne consumo il giusto, ascolto il mio corpo, e mi informo più che riesco.
Ecco una lista di elementi che possono aiutarvi a fare la vostra scelta quando si tratta di comprare il burro. Sono consigli che semplificano tutti i discorsi che abbiamo fatto qui sopra, ma possono essere indicazioni utili anche se tagliate con l’accetta.

  • Meglio burro di panna da centrifuga che da panna da affioramento
  • Controllate che il colore del burro sia champagne / tendente al giallino
  • Non sempre piccolo è sinonimo di buono
  • Locale è meglio, anche solo per una questione di temperature di trasporto (In Francia hanno un camion con temperatura ad hoc per il burro, cioè 4°. Qui in Italia no).
  • Se costa poco, chiedetevi perché
  • Sogniamo in grande, e chiediamoci: cosa ha mangiato la mucca da cui arriva il burro?

Spero che questo lungo approfondimento sul burro vi sia stato utile: se ci sono inesattezze o se avete informazioni scientifiche più precise, scrivetemi. Sarò contenta di approfondire e integrare.
Da parte mia continuerò a comprare il Burro Brussino, che ringrazio per il tempo che mi hanno dedicato: se siete curiosi, li trovate in Piemonte, Liguria, Veneto, presso i Basko, alcuni Presto Fresco e negozi di quartiere. Io lo compro a Torino al Salotto del Gusto di Via Carlo Capelli 25.

Credits ph @Burrificio Brussino

Bibliografia e siti web

Ecco articoli e libri che ho consultato per scrivere questo articolo: un grande grazie va a Ggalaska che mi ha aiutato facendomi venire più dubbi di quelli che avessi e mi ha costretto quindi fa farmi più domande.

 

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