La scorsa settimana sono stata a Bologna per conoscere i ragazzi del Forno Brisa, che il 6 dicembre hanno compiuto 3 anni e inaugurato il quarto punto vendita: da tempo sono il mio punto di riferimento per la colazione e la pizza che porto con me a Torino. Arrivo a Bologna e vado in via Galliera, per mangiare uno dei loro cornetti. Quando riparto, ripasso da lì e mi faccio fare un cartone di pizza in teglia, che mangio in treno senza avere la pazienza di arrivare a casa.
Giovedì 6 dicembre ho partecipato a un tour speciale tra i loro punti vendita: ogni tappa, un momento per confrontarci tra le loro specialità. Ogni spostamento, un giro sul trenino rosso per turisti che ci ha regalato ulteriore meraviglia.
Sono tornata a casa piena di panettoni, pizza, abbracci e informazioni: qui le ordino in fila, per darvi 6 motivi per andare a Bologna e andare a conoscere uno o tutti i punti vendita di Forno Brisa.

1. Territorio, prima che pane e pizza
“Raccontare il territorio” è un frase che fa colpo: c’è la storia, le persone, i grani. È una frase abusata, ma che si riempie di senso quando viene usata da Pasquale Polito di Forno Brisa.
All’inizio della loro avventura chiamavano i pani usando i vari “terroir”, ma di fronte agli sguardi interrogativi delle persone hanno semplificato il naming ma non il processo: il loro pane viene fatto con delle farine considerate non panificabili, cioè con un indice di forza molto basso.
Sono farine biologiche, che arrivano dall’Italia – molte dal Piemonte -, alcune dall’azienda di Pasquale: la loro idea di artigianato ha una grande lente d’ingrandimento sulla parte agricola.
Fanno il pane e i lievitati con quel che il territorio produce, per farlo durare a lungo, per preservare il terreno per i figli.
Prendete il loro “miscuglio evolutivo”: mescolano semi vari e li mettono a coltura, con l’obiettivo di far adattare il seme al terreno e non viceversa, come fa l’agricoltura convenzionale.
Sono giovani, hanno il futuro davanti e alle spalle.

Pasquale Polito
2. Come si lavora a Forno Brisa
Sempre di più il modo di lavorare di un’azienda dice qualcosa di quell’azienda: la rende appetibile, lungimirante, e durevole.
I ragazzi di Forno Brisa si incontrano 3 o 4 volte all’anno con altre aziende (come il Panificio Moderno in Trentino) per fare ricerca e confrontarsi: incontrano genetisti, aziende, nutrizionisti. Mettono insieme colleghi per lavorare insieme.
Le aziende e i prodotti si fanno con i gruppi di lavoro che funzionano, con le relazioni.
Oggi sono circa 30 persone che lavorano qui, e che credono in quel che fanno.
Basta parlarci 10 minuti per avere voglia di mangiare i loro lievitati e di uscirci a prendere una birra: tutte le persone che ho incontrato qui sono state gentili, professionali, e super informali. Non è un codice di comportamento aziendale, è gentilezza e positività condivisa.
Quante aziende conoscete in Italia che mettono in pausa l’azienda per 3 giorni per formare i dipendenti? Io poche, ma vorrei fosse sempre così.

3. I maestri, pure dipinti
Il lievito madre qui al Forno Brisa non viene nominato o usato con deferenza: su Instagram abbiamo imparato che ha un nome, che deve essere trattato con delicatezza. Qui tutti lo maneggiano, d’altronde, mi raccontano, il lievito madre si basa sul dono: era qualcosa che le famiglie si scambiavano, e anche oggi la pasta madre si adatta alla persona da cui viene adottato.
È lo stesso concetto dei maestri: i ragazzi di Forno Brisa fanno un prodotto che è adattamento ed evoluzione di lezioni altrui. I maestri qui sono dappertutto: Longoni, Bonci vengono nominati ogni dieci parole, ogni locale ha un murales che rende tributo alle persone che gli hanno insegnato il mestiere.
Quando abbiamo visitato il locale più dedicato al caffè, in Via San Felice 91, il caffè lo hanno raccontano i ragazzi di Bugan Coffee Lab.
Ogni ingrediente ha il suo maestro, ogni cosa si trasforma qui da Forno Brisa, e viene restituita: al cliente, alla città, a chi viene qui e impara.

4. La comunicazione di Forno Brisa
Emanuele Centola, il mio art director del cuore, scriveva così in una sua newsletter:
Qui a Bologna c’è questo forno che si chiama Brisa, che è super blasonato, premi, recensioni, gamberi rossi, farine speciali, pani buoni — inciso, non mi danno un ghello — insomma hanno fatto un video stupendo, perché prende uno degli inni della musica reggae (Police in helicopter) e lo riadattano al loro core business, cambiando parole, usando immagini giuste, grafiche in sovra impressione giuste. È normale per un forno? Penso di no.
Forno Brisa è reggae, è pop, è punk: lo è nel claim – hardcore bakery -, nei video, nei colori. Lo è prima nell’anima e poi nella sua rappresentazione. Se vi siete rotti le scatole del pane della nonna, sappiate che qui la nonna esiste ma è un cartonato. C’è da amarli, tantissimo.

5. Bologna, andata e ritorno
Pasquale studiava Geografia a Bologna, con Farinelli – pensate, lo stesso professore con cui mi sono laureata io. Quando chiudeva i libri, poi si metteva a fare il pane, fino a diventare il punto di riferimento del quartiere per il pane che cuoceva in casa.
Da lì ha lasciato Bologna e ha studiato all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
L’azienda è qualcosa che abbiamo imparato
Ma senza l’amore per il pane e senza Bologna non sarebbero diventati chi sono.
E io vorrei continuare a dare spazio a tutto questo: le storie di chi a Bologna ha trovato la sua fortuna.

6. Le idee, la rivoluzione
Spizzeasy è il posto di Forno Brisa dove passano le idee. Uno speakeasy disponibile per eventi privati, in Via San Mamolo 25. È la parte scapigliata di Forno Brisa, qui passano persone pazzesche e si respira un’atmosfera conviviale.
I ragazzi di Forno Brisa sono a proprio agio dovunque, ma qui, mi sembra, in particolar modo: questo è un luogo di incontri, di idee, di ricette, di scambi. Di relazioni, che sono la base per la bontà delle idee e delle ricette.
Plus: dormire a Bologna
A Bologna ho dormito Al Cappello Rosso in Via De’ Fusari 9, in una camera con le travi di legno da cui vedere il cielo di Bologna e un letto comodissimo dove riposarmi dai chilometri fatti.
Al Cappello Rosso è un hotel famoso per le sue stanze, decorate e realizzate da artisti e fumettisti: ogni anno, in collaborazione con il Festival Internazionale del fumetto BilbOlbul, una camera viene personalizzata da celebri illustratori.
Hanno una trattoria accogliente, dove tra le altre cose va anche Michael Fassbender e da poco hanno aperto anche una bottega dove vendono pasta fresca.
Grazie Bologna Welcome per l’ospitalità.