Say No, Say Yes: cosa lasciamo, cosa ci portiamo nel 2013

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Un post un po’ caustico ma anche ottimistico per chiudere il 2012: dopo quello dell’anno scorso con le sentenze culinarie che non vogliamo più sentire, ecco cosa ci portiamo nel nuovo anno e cosa lasciamo.
Buona lettura e buon anno!

Il panettone e i suoi insoliti usi

Il panettone ormai è riabilitato, dove per riabilitazione si intende che non si mangia più inzuppato nel latte ma fritto sugli spaghetti, tagliato a fette e ripieno di salmone, a tocchetti col baccalà mantecato. Si stanno progettando ulteriori utilizzi per collocarlo definitivamente nella sezione gourmet dei supermercati più chic, ma presto scopriremo che il panettone è ottimo anche come filo interdentale, per il decoupage e come presina per il forno.
Basta col panettone, ora riabilitate le freselle.

La sospensione del giudizio a causa della crisi

C’è la crisi, i ristoratori non riempiono più il locale come una volta e chi fa critica si trova di fronte a un nuovo dilemma. È ancora possibile fare appunti su un locale o equivale a rovinare una famiglia? Possiamo sottolineare la cottura sballata della pasta o in questo modo stiamo licenziando il lavapiatti? Capita che formulare un giudizio negativo equivalga a venire tacciati di insensibilità, come se l’esercizio della critica fosse una questione di cuore: tentando di non mancare mai di rispetto per l’etica lavorativa altrui (ma capita, siamo umani), c’è che a noi non piace tutto, e che, soprattutto, la crisi è loro come è nostra. Quando andiamo a mangiare in un posto, stiamo scegliendo di investire dei soldi su quella che è un’attività (che si spera piacevole) personale e spesso lavorativa: se capitiamo in un locale che ha un’idea di cucina facilona, grossolana, che non conosce le basi e si burla del suo carattere innovativo, e su questo costruisce la sua credibilità, i nostri soldi vanno sprecati. Se andiamo nel locale di grido, costoso, pubblicizzato, di successo, oltre alle ultime tecniche e a ingredienti di rango, vogliamo capacità in cucina oltre i fuochi d’artificio di presentazioni di design e sale lussuose. Di questi tempi, a noi sta scrivere recensioni calibrate, oneste, veritiere: ai ristoratori sta cucinare in maniera altrettanto onesta, proponendo dei piatti che vadano di pari passo con la loro conoscenza del cibo e della cultura culinaria. Nulla di più, nulla di meno.

Il celodurismo sul km 0

Ci sono cibi che possono essere esperiti al meglio solo in loco, perché il loro trasporto comporta la perdita di quelle proprietà organolettiche o gustative che lo rendono buono, saporito, caratteristico. Provare a mangiare una mozzarella di bufala campana a Brescia, un pesto ligure a Cagliari o una burrata pugliese a Trento, va bene, è cultura gastronomica e piacere intoccabile. Ma deve restare la curiosità di provare l’originale, in loco. È un’attività che dovrebbe entrare nelle cose da fare quando si visita una località: il museo, la cattedrale, la burrata. Sarà un’esperienza unica, e una crescita personale. E una goduria. Poi ci sono quei cibi che fuori dalla regione o dalla nazione sono meglio dei nostri: il burro francese, il prosciutto spagnolo e l’avocado messicano. A quel punto fate pace col vostro animo Birkenstock, accendete il motore e partite alla ricerca dell’ingrediente migliore, dovunque esso sia.

I libri di cucina scritti dai foodblogger

Negli ultimi tre anni l’editoria culinaria italiana ha scoperto i foodblogger. A fare da apripista, come sempre, Sigrid: sono arrivate poi Laurel, Juls, Babs, Silvia, Roberta, Jessica. Libri dal taglio fresco, ricette collaudate, un legame di affetto con i lettori ancora prima di finire sullo scaffale. L’editoria culinaria prova a liberarsi da Le 1000 ricette da provare prima di morire, speriamo ci riesca.

I nuovi cuochi, quelli giovani, quelli bravi

On cucina non si inventa nulla, ma è più facile che a voler sperimentare siano cuochi che, una volta apprese le basi dell’ottima cucina, si trovano a dover gestire la propria cucina e a dover imbrigliare la propria creatività al servizio di un menu che sia riproducibile tutti i giorni, che abbia un costo stabile e piaccia al cliente, tanto da farlo tornare. Dai giovani cuochi ci si si aspettano rischio ed estro, e, perché no, anche errori di percorso: un giovane chef può essere un ottimo chef in potenza, ma deve essere un buon cuoco già adesso. Quando azzardi e tecniche si compensano, quando testa, attenzione e capacità imprenditoriale si trovano nella stessa cucina, la gioventù diventa un pregio per merito e non per diritto (vedi alla voce Magenes e Antiche Contrade).

I locali con formule ibride

Aperti dalla colazione alla cena, che propongono assaggi e creazioni con ingredienti ottimi con prezzi, fare e location popolari. Posti come Un Posto a Milano e Lolita a Barcellona sono i locali che vorrei trovare dovunque, quando ho fame alle cinque del pomeriggio, quando voglio prendere un tè con le amiche o bere una birra, in un luogo tranquillo dove il cibo è in primo piano senza troppe cerimonie.

La nobilitazione della cucina americana

Ecco gli hamburger, i bagel, il barbeque che stanno uscendo dal fast food per diventare qualcosa di buono, gourmet ma ancora popolari. C’è ricerca e studio dietro, e soprattutto c’è la capacità di non dare nulla per scontato.

E voi, cosa lasciate e cosa portate?

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