Identità Golose 2009. I cuochi (seconda parte)

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Mercoledì

Loretta Fanella

Loretta ha la mia età, e questo mi fa impressione. Ha la mia età, 28 anni, un’esperienza molto più grande e un contatto con il suo lato infantile molto più sviluppato: quando cresciamo tutti più o meno ci irrigidiamo rispetto all’infanzia, codifichiamo certi atteggiamenti, rendiamo sociali le nostre reazioni. Loretta è riuscita a preservare la tenerezza del bambino che gioca con le forme di legno e crea mondi immensi abitati da personaggi animati, accompagnando questa fantastica naiveté a una determinazione e una competenza tecnica che ne fanno una donna emozionante. Oggi è lei a essere emozionata sul palco, le tremano le gambe all’inizio, spiega un dolce complesso, servito su quattro piatti a forma di tessere di puzzle che si combinano tra di loro formando le quattro stagioni: di fronte a questa meraviglia, lei spiega con semplicità che ciò che la rende orgogliosa è “vedere i piatti puliti che dalla sala tornano in cucina”. Ripeto, una donna emozionante.

Oriol Balaguer

Oriol è il Willy Wonka dei giorni moderni, con la differenza che Oriol ricorda benissimo come è essere bambini. I bambini sono il suo pubblico, come primi assaggiatori dei suoi bon-bon e spettatori dei suoi dvd: oggi, che siamo noi il suo pubblico, ci mostra un dvd che è a metà tra il video di animazione e un video-cartolina, venduto insieme alla sua scatola di bon-bon, ben fatto e molto invitante, che spiega la storia del cacao e mostra il suo laboratorio. La sua attenzione per l’estetica mi rapisce, ma ciò che davvero mi folgora è un suo cioccolatino, con guscio di cioccolato nero, ripieno di ganache e con un effetto strabiliante, un frizzicorio sul palato, come se milioni di piccoli omini di cristallo stessero facendo un giro su se stessi all’interno della mia bocca: è durato un paio di minuti, e mi sono divertita come una bambina.

Corrado Assenza

Assenza è il Melville della pasticceria italiana, il letterato che esprime suggestioni in maniera vivida e che traduce paesaggi in parole prima e in dolci poi. Dolci è una parola grossa per uno come lui, che punta a una “gradevolezza di dolcezze naturali”: dati certi stimoli della natura, l’intelletto del cuoco li trasforma in creazioni culinarie. In pratica, vuol dire inventarsi dei dolci fatti con grano, cagliata di pecorino, sciroppo di foglie di mandarino e sale nero di Cipro: come pubblico, significa assistere a una lezione di pasticceria indimenticabile sorretta da una filosofia di fondo forte e chiara.

Pierre Hermé

Hermé ha la bocca piena di guimauves (come quelle al tè matcha che presenta nella sua ricetta), ne sono certissima. Per il resto poche emozioni, poche chiacchere, nessuna filosofia. Vabbè, almeno è a Parigi e Parigi è vicina.

Jean-François Piègè

Piègè è uno che afferma che “nella cucina prima di tutto ci vuole sentimento”: sentimento, e tecniche che lo direzionano. Piègè prepara un piatto assolutamente riproducibile in casa, una sua personale interpretazione del pollo di Bresse: è chiaro, didascalico, ma mi emoziona come un impiegato del catasto. Avrei voluto assaggiare i suoi maki con riso thai e verdure, per comprendere il sentimento di cui parlava.

Emmanuel Renaut

Di Renaut vorrei solo sottolineare il suo ciuffo alla Brandon di Beverly Hills e la sua assoluta caparbietà, che lo ha spinto a prendere la macchina nel cuore della notte (dopo aver finito il servizio), scendere dal monte Bianco, arrivare a Milano, tenere la sua lezione e ripartire per essere presente al servizio della sera. Ho pensato povero, non ha nessuno a cui delegare. Un uomo che avanza e tracima, che fende pesci di lago e che presenta una cucina molto meno terrena di quanto mi aspettassi. Boh, non so.

Philippe Léveillé (coup de foudre)

Vedere un cuoco gigante esibirsi su un palco e manifestare timidezza mi ha mandato in deliquio, lo preciso subito. La sua tracotanza fisica, insieme all’assoluta padronanza del mestiere, i sapori forti che ama, uniti al suo imbarazzo ne fanno un uomo molto affascinante, e un cuoco da cui vorrei mangiare assolutamente, senza se e spero presto. Léveillé è una persona onesta, senza molte sovrastrutture, e cucina ciò che ama, e lui ama la “cucina cucinata”. Vive in Italia da venti anni, lavora a Brescia e usa prodotti italiani, tutti tranne il burro che fa venire dalla Francia: questo per due motivi, “perché in Francia le mucche vivono libere e io non le ho mai viste libere qui in Lombardia; secondo, perché qui in Italia destinate il primo latte ai formaggi come Grana e altri, mentre in Francia è diverso: il primo latte va metà ai formaggi e metà al burro”. Detto questo, ho assaggiato le foglie di ostrica: assomiglia al basilico ma il sapore è quello dell’ostrica. Allora, Léveillé ha conquistato anche voi?

William Ledeuil

Conoscendo già la sua cucina, ho apprezzato ancora di più la sua lezione: Ledeuil ci mostra che la cucina è un gioco, solo che viene eseguito in maniera perfetta. Presenta due piatti che risentono di influenze thai, in una sequenza di frutti dai colori acidi e di spezie dal nome ignoto. Racconta che per un breve periodo non sono partiti aerei da Bangkok e che pertanto non è riuscito ad avere i suoi normali approvigionamenti di spezie ed erbe, e questo lo ha sconvolto a tal punto da fargli rendere conto di non riuscire più a cucinare senza alcuni ingredienti: d’altronde, come abbiamo potuto vivere finora senza la Buddha’s hand?

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