La domanda e la risposta
La domanda di fondo con cui il mio cervello si è seduto il primo giorno in auditorium era questa: ha senso che il cuoco, lo chef, parli in una lingua che non sia quella della sua cucina? Quanto è utile, spontaneo, consigliabile per un cuoco definire la sua cucina mediante le parole e non attraverso i suoi ingredienti?
Diciamolo, non tutti i cuochi sono adatti alla platea o al pubblico eloquio, e se trent’anni fa il cuoco non era ancora diventato lo chef così come lo conosciamo ora, è anche vero che gli stessi anni hanno modificato le aspettative che i clienti hanno nei suoi confronti, a tal punto che la clientela è diventata pubblico: un pubblico che va ai convegni, che assiste allo spettacolo della cucina attraverso i vetri che svelano i cappelli bianchi, che discute nei forum degli errori e delle fortune dei cuochi, che come noi si improvvisa recensore e si fa raccontare meravigliato i retroscena del mondo della ristorazione.
Sta di fatto che oggi nel 2009 la visibilità per un cuoco è molto, avere un volto legato alla propria cucina conta: significa farsi conoscere, acquistare potere mediatico, vuol dire entrare nelle guide, far parlare di sé, contribuisce a far parte di questa setta di monomaniaci del gusto che è il mondo della gastronomia.
A Identità Golose ho visto alcuni cuochi che conoscono questi meccanismi, altri che li ignorano, che non conoscono i tempi, che non hanno idea di ciò che ci si aspetta da loro, che parlano col pubblico perché hanno in sé l’idea della convivialità, che non hanno in testa titoli in grassetto.
In sintesi, ho visto cuochi che sanno definire la propria cucina semplicemente facendola mangiare ai propri clienti, o al pubblico in questo caso. Come ha detto coup-de-foudre-Levéillé, “siete voi giornalisti che cercate di definire la mia cucina, io so solamente che cucino quello che mi piace e che mi piace una cucina cucinata”: se uno ti risponde così, risolve la domanda di partenza.
Vederli in un convegno, forse complica le cose, accresce le domande, ti pone necessariamente in una funzione diversa da quello di cliente: sentirli parlare mentre cucinano semplifica le cose, ed è come essere in cucina e a tavola con lo chef.
Italia – Francia 1-1
C’è un francese, un italiano e un convegno di cucina, secondo te cosa succede? Succede che sono pari, anche se non possono essere paragonate.
Gli chef italiani presenti al convegno facevano del riferimento al proprio territorio un punto inviolabile del loro credo e della loro pratica culinaria, e la geografia nella cucina italiana diventava il discrimine tra i diversi menu, cosa che è anche abbastanza ovvia in un paese in cui le altezze e il terreno e le colture e il tipo di pesca sono diversissimi da una regione all’altra, e la tradizione regionale è ancora fortissima.
Gli chef francesi hanno parlato poco di cucina francese, mettendo sul piatto la propria cucina, una cucina fatta di poca tradizione e influenze culturali più che territoriali. Insomma, la Francia si dimostra una nazione, l’Italia resta un paese: non è una differenza qualitativa, ma una questione di meticciamento culinario. Noi sappiamo fare grandi cose con un pezzo di terra, come nel caso di Lopriore, loro usano il matcha anche sul Monte Bianco.
La livella (di Parisi)
Pochi appunti sull’organizzazione del convegno: avrei apprezzato la presenza di più spazi di condivisione, più tane di confronto e più angoli per osservare: tavole rotonde, salottini appartati, più incontri per le degustazioni. Ho avuto l’impressione che mancasse lo spazio per il confronto, e ogni tanto anche il tempo, visti i ritmi serrati dei talk che davano davvero molti spunti ma poco tempo per svilupparli, per fare domande, per interloquire con i relatori. Mercoledì ho notato una differenza, forse perché è stato l’unico giorno in cui sono stata a IG dalla mattina alla sera mentre i giorni precedenti sono arrivata sempre dopo pranzo.
Il momento del pranzo è stato quello che ha modificato le mie impressioni: erano tutti lì, addetti e non, in una diffusa atmosfera di convivialità. L’istinto primordiale della fame che si stempera nell’educazione al gusto, ecco i veri gastronomi, che poi si siedono in auditorium o salgono sul palco, lì, di fronte all’uovo di Parisi sono tutti uguali. Ecco, la prossima forse aggiungerei una rete wi-fi, direi indispensabile a questo punto.
Il punto di vista (una foodblogger sulla via di Damasco)
Ho continuato a cercarmi durante tutto il convegno, e vi spiego perché: io per ora lavoro come libraia, ho lavorato in passato come bibliotecaria, poi per società di servizi editoriali, prima ancora in gelateria, poi in un pub eccetera eccetera. Diciamo che ho una professionalità in un campo, e che questo pezzo della mia vita si integra con la mia passione per la cucina attraverso alcuni collanti, come i libri di cucina, che uso per le mie ricette e che seleziono e vendo come libraia. (Tra parentesi: l’angolo libreria di IG era un bel po’ sguarnito, e anche l’esposizione era poveretta, peccato, poteva essere un’occasione anche per offrire una selezione di libri di cucina stranieri, o anche solo francesi).
Durante il convegno, il mio mestiere è rimasto a lavoro, e con me ho portato solo un quaderno nero, una penna e una macchina fotografica: ho scritto tantissimo, preso appunti, fatto poche foto perché con la mia compatta non ho grandi mezzi, ho seminato figure barbine, chiaccherato pochissimo con i cuochi, e ho tentato di assimilare tutto, cercando il lato umano delle cose.
Ero Mariachiara, ma soprattutto ero una foodblogger: lì ad assaggiare e ascoltare e qui a ricordare e raccontarvi. E a IG, in un convegno di addetti ai lavori, ho desiderato essere tale: avrei voluto avvicinarmi di più ai piatti, avere una macchina fotografica migliore, parlare di più ai cuochi, averli conosciuti prima di questo convegno. Mi sarebbe piaciuto unire la mia ricerca per il lato umano delle cose a una professionalità diversa, che mi avrebbe dato la possibilità di conoscere tutti i cuochi di persona e di assaggiare tutti i loro piatti, proprio perché prima di essere cuochi sono uomini, e prima di essere pensato e spiegato un piatto va assaggiato.
IG è stata una molla che mi ha fatto percepire i miei limiti, e anche alcuni miei bisogni. Vedremo.
I tuoi post ( e chiamiamoli articoli, su’!) si IG mi sono piaciuti molto, e spero che tu riesca a trasformare i tuoi bisogni in nuove possibilità :)